giovedì 11 giugno 2009

NIETZSCHE E LA BONTA' AD OROLOGERIA


Sfogliando le pagine della biografia di Nietzsche scritta da Massimo Fini dal titolo l’apolide dell’esistenza, traspare (apparentemente) una figura del tutto differente da quella che potrebbero suggerirci gli scritti del filosofo. Emerge un personaggio estremamente umile, posato, femmineo, cortese e addirittura passivo. Lo stesso che scriveva “io non sono un uomo, sono una dinamite”, ce lo presenta come un solitario professore scisso fra due realtà: una intellettuale e un’altra fisica. La prima, dirompente ed esplosiva, manifestantesi solo sulla carta, la seconda fragile e cagionevole, mossa a fatica in un’epoca, e dunque non sua. Un personaggio, insomma, quasi invisibile, conservato quasi interamente in uno spazio immateriale, astratto, avente sede principalmente nel Pensiero. Quel filosofo che si professava come “l’anticristo” si rivela essere un vero martire, sacrificato totalmente a quella funzione di Custode della Verità. E facendo questo dedica tutto se stesso a quel pensiero, obliando la sua vita, la sua stessa dignità. Che cosa ne viene fuori? Che il suo pensiero si esaurisce nella sua stessa demenza, così che quel che vede riflesso nel suo specchio è solo più la Bestia: il punto da cui teoricamente sarebbe dovuta partire quella “fune” che avrebbe dovuto lanciarlo al super (o oltre che dir si voglia) uomo.

Intendo precisare, nessuno qui osa sostenere che sia stato il suo stesso pensiero a condurlo verso la follia... e se anche fosse vero, non lo riterrei un elemento di eccessiva rilevanza. Quel che più dovrebbe far riflettere è la funzione (indiretta) che in tutto ciò gioca il concetto di sacrificio.

Sorge spontaneo domandarsi, difatti, perché Nietzsche non abbia unito definitivamente in sé la sua etica con la sua stessa estetica. Forse perché egli presentiva che per essere una “dinamite” bisogna fare in modo che all’interno dell’esplosione venga incluso il maggior numero di persone?

Io credo si tratti invece più semplicemente di una inconsapevole qualità caratteriale, non pre-organizzata, seppure non certamente casuale. Proprio perché Nietzsche è stato si un filosofo, ma anche, credo, soprattutto un poeta, e non a caso fra i suoi illustri Maestri troviamo proprio la figura di Friedrich Holderlin, il quale presenta diverse analogie con il filosofo sia nel pensiero che nella vita stessa. Infatti, nella sua poesia Andenken (Ricordo) la frase che chiude il componimento è la famosa Was bleibet aber stiften die Dichter (Ma ciò che resta lo fondano i poeti). E potremmo rivalutare l’intera vita di Nietzsche, così come il suo “culto dionisiaco”, proprio come un’esistenza votata alla fondazione filosofica, quasi a un livello liturgico. La stessa sentenza “Dio è morto” è carica di un potere religioso e sacrale. Nietzsche potremmo quasi pensarlo come un perfetto Cristiano, un vero Sacerdote.

Il filosofo Massimo Cacciari ci ha offerto una lettura del pensiero di Nietzsche fornendo un collegamento con il concetto di Deus Adveniens, e nel far questo ha anche preso in considerazione le varie citazioni evangeliche presenti nei suoi testi.

Ciò a cui egli rimanda, è continuamente un Lieto Annuncio, un riportare a una verità, una vera e propria parusia (prossima) di un oltre ben definito. Il nichilismo inteso come trasvalutazione di tutti i valori, in tal caso, potrebbe essere considerato addirittura come il più compiuto esito di un’etica cristiana, proprio perché viene “transustanziato” qualsiasi effettivo valore, e con esso qualsiasi fenomeno, ogni realtà. Certo Nietzsche distingueva fra nichilismo passivo e attivo, dichiarandosi porta-voce del secondo. Ma considerando che la Volontà di Potenza non risiede sopra nessun altro luogo se non in quello che noi si possa ritrovare in quella Noluntas di cui ci parlava Schopenauer, essa è dunque impossibile e perciò stesso Miracolosa, così come lo è qualsiasi attività creativa, e ricalco: è impossibile, proprio perché, come giustamente osserva Cacciari, la Volontà di Potenza si rovescia nella sua stessa Impotenza, mostrando l’aporia del suo “creare” il Nulla. L’uomo è dunque un ponte, un profeta, una voce che grida nel deserto e attende l’avvento del Deus Adveniens, per l’ appunto.

Ne ricaviamo che il discorso di Nietzsche è costretto a restare chiuso nelle sue stesse catene ermeneutiche per poter essere reso possibile, così che quel che oggi appare più degno della nostra “attuale” attenzione è proprio quel “salto” che il filosofo fece fra la sua identità sociale e la sua essenza bestiale, e per ciò stesso anti-storica.

Non dovrebbe dunque essere possibile nemmeno pensarlo un oltre, un “post”, proprio perché nel momento stesso in cui noi dovessimo superare definitivamente quel ponte, dimenticheremmo tutto, e conserveremmo solo più quella saggezza dell’inizio, quella che vanifica ogni sforzo, e che non sarà stata la soluzione di alcun telos ma piuttosto l’accrescimento di quella condizione che per l’uomo storico è del tutto impossibile: la volontà di potenza; E dov’è che questa si manifesta? In quel tempo che gli stoici chiamavano l’ Aiòn, in quella verità che Nietzsche reputava la sua più profonda, ovvero quella dell’Eterno Ritorno.

Ecco che dunque quella bontà che ci narrano di Nietzsche, possiamo inserirla benissimo nella logica del suo pensiero, attribuendola a quell’esito finale delle sue meditazioni che è quello dell’Amor Fati.

Nietzsche come uomo quieto che teneramente attende l’avvento di quest’oltre, e lo fa mostrando il sorriso della sua stessa resa, cioè della sua stessa gloria.

Luca Atzori

1 commento:

  1. Chiedo scusa: a quale opera di Cacciari fate riferimento per l'interpretazione dell'Oltreuomo come un "Deus Adveniens"?

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