Tutta la storia della metafisica ruota attorno ad una questione fondamentale, ovvero quella concernente l’Essere. Il primo che si pose tale problema fu Parmenide di Elea, che con la sua celebre frase “l’essere è e il non essere non è” segnò l’alba di quella disciplina che ancora porta il nome di Ontologia (cioè discorso sull’Essere).
Premesso questo, potremmo iniziare col porci un primo quesito di fondamentale importanza: perché farsi domande sull’Essere?
Una risposta l’ha fornita Aristotele sostenendo che gli uomini se lo domandino perché ne sentono l’emergenza della meraviglia.
Meraviglia si, ma di cosa? Forse del fatto che tutto esista? A tale proposito possiamo citare la famosissima domanda di Heidegger che dice: perché l’essere e non piuttosto il nulla?
Quando ci troviamo dinnanzi a questa verità, diventiamo consapevoli di non poter in alcun modo andare oltre l’Essere, o più precisamente oltre il pensiero dell’Essere.
Pensiero che teoricamente dovrebbe essere posseduto dal soggetto pensante, per l’appunto. Ma è forse vera la celebre affermazione cartesiana che dice Penso e dunque sono? (Cogito ergo sum).
L’essere nostro dunque oltre quello delle cose?
Ma io vorrei ribaltare questa concezione. Quando noi diciamo che il bicchiere “è” sul tavolo, che cosa intendiamo? Fuori dalla nostra percezione, e dunque fuori dal nostro linguaggio, QUEL bicchiere E’ realmente sul tavolo? Piuttosto l’oggetto del nostro interesse è forse quella cosa che noi chiamiamo bicchiere, oppure è la stessa parola che nominiamo? Ma ancora, è più scottante il fatto che quel bicchiere SIA, oppure che cos’altro?
Qui determiniamo un punto di centrale importanza, ovvero non tanto quella dell’Essere delle cose, ma piuttosto del Verbo Essere stesso. Fuori di esso, in effetti, di che cosa si può dire che esista? E’ addirittura impensabile che qualcosa vada fuori dal verbo essere, poiché questo include tutto, o meglio tutto si include in esso. Ma dunque quella distinzione fra soggetto e oggetto, può essere ancora forte? Il soggetto in relazione all’oggetto, si ma l’essere stesso del soggetto pensante, è anch’esso un pensato, dunque è oggetto di pensiero. Tutto ciò che è pensato è oggetto. Tutto, anzi, è oggetto.
Ogni qualvolta noi usiamo il linguaggio, diciamo qualcosa che non è quel che vorremmo dire, ma è quel che diciamo. Dunque il linguaggio, in un certo senso, ci precede.
E considerando dunque il concetto di Esserci (Da-sein), se si è compreso che quest’ essere non va più inteso come semplice presenza, ma solo più come una "lampada", allora possiamo andare ben oltre il concetto di Esserci. Difatti Heidegger sorpassò la sua analitica dell'esistenza e dell'Esserci per giungere (con la Kehre) al concetto di Gelassenheit, ovvero di abbandono. Abbandonarsi all'essere e cioè imparare l'ascolto.
Piuttosto che di Dasein, dunque, io credo che noi si debba introdurre un altro termine di fondamentale importanza, ovvero quello di Sosein (Essere-così). Ovvero è centrale il fatto che le cose siano così, e con esse anche l’E’ delle cose. Cioè tutto ciò che è, E’ così perché E’ così. E quel che a noi deve interessare è che le cose siano come sono. Il fatto stesso che le cose siano dette tali, è perché noi le pensiamo in una sfera che è propria del verbo Essere.
Noi siamo abituati, ahimè, a sottovalutare fortemente la forza e il potere del pensiero. Poiché troppo spesso gli abbiamo assegnato un valore morale, un compito etico, assegnandoci quel Sartriano engangement, composto in realtà di soli riflessi su riflessi di riflessi di senso. Il linguaggio raffigura i concetti e gli oggetti e lo fa più o meno, pressoché, a grandi linee, giù per lì, su per giù. l mondo sta infatti, soprattutto nel linguaggio, e tutto ciò che accade lo fa nel mondo.
Per questo bisogna usare piuttosto che Cogito ergo sum, il detto Cogito ergo est; e con esso non intendiamo dire “penso dunque quel qualcosa è”, ma piuttosto diciamo che penso dunque E’, o meglio se io penso è perché vi è quell’è. Penso dunque Verbo Essere, in caso contrario non vi sarebbe pensiero. E non si può pensare ad un principio di ragion sufficiente di quell’essere, perché esso mantiene in sé la sua Aseità. E’ dunque il pensiero a donare l’essere alle cose. E l’essere a rendere possibile il pensiero stesso.Luca Atzori
"Esse ergo cogito". O meglio "Esse ergo cogitatur".
RispondiEliminaMagnifico! Il linguaggio "ci fotte" come diceva l'ormai eterno Carmelo Bene. Grazie =)
RispondiEliminaNon credo c'entri niente il verbo essere. Cogito ergo est, indica esattamente quello che significa: "penso quindi è". Il pensiero non appartiene all essere parlante. Siamo abituati ad appropriarsi del pensiero come fosse nostro e non lo è. Si potrebbe parlare di appropriazione indebita, ma il problema più che nel linguaggio sta nella psiche e nella configurazione dell' io e del modo in cui le persone vedono se stesse e le cose come propria estensione, proprietà ecc. Il mondo costruito sotto il pensiero egoico non è reale e un giorno lo capiremo. Ciao.
RispondiEliminaPerché domandarci sono o È ? Noi siamo nel momento in cui ci poniamo la domanda!Il pensiero è influenzato da mille sovrastrutture,importante è analizzarlo criticamente,sempre e mai darlo per acquisito,proprio perché è spesso fuorviato dall' Ego....
RispondiEliminaLa locuzione "cogito ergo est" da quale autore e testo dove proviene? Qualcuno sa rispondermi?
RispondiEliminaGrazie.
Nietzsche
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