martedì 27 settembre 2011

LE PRESE IN GIRO DELL'ESSERE

Ogni percorso si sia deciso di intraprendere, porterà, è ineluttabile, ad una meta sempre particolare. Qualsiasi fede spirituale (o anche non, come ad esempio la scienza e tutti i restanti esempi che si possan prendere) si pone una finalità da raggiungere, e chi la abbraccia si mette in una condizione per la quale solo gli elementi interni a quel credo medesimo, possono servire al fine stesso: di per sé sempre esclusivo.
I cristiani e i musulmani ricercano la salvezza e il paradiso mediante differenti percorsi, nonostante le due fedi siano ben distinte, e la stessa salvezza cui tende uno è differente da quella cui tende l'altro. Il buddhista tende ad annientare la sofferenza e porre fine al ciclo del samsara. Lo scienziato ricerca tramite teorie esperimenti e ricerche di conoscere l'universo. La filosofia tende alla verità.
Ciascuno di questi contesti, rappresenta un sistema che ha inizio e fine in sé stesso. Ognuno contestualizzato linguisticamente al proprio interno, contiene già in sé l'unico fine possibile, necessario a determinare la struttura interna a sé come elemento di sistema organizzato. La finalità è sempre decisa sin dall'inizio (o addirittura tramite esso). Ogni percorso presenta però la natura della problematicità. Senza questa non potrebbe darsi nessuna evoluzione, nessun passaggio possibile. Il sistema in sé è perfetto, visto nell'insieme, ma al suo interno, perché questo possa essere reso coerente, saranno stati individuati una serie di errori plausibili, che abbiano determinato la natura stessa della perfezione interna. Questo perché ogni sistema è la rappresentazione di una certa data situazione di realtà. Prendiamo ad esempio la Fenomenologia dello spirito di Hegel. Con il processo dialettico, presente soprattutto nelle due figure del servo e del padrone (il primo come facitore di storia tramite il lavoro e il secondo che capitalizza il primo al fine di un progetto determinato) si tende all'assoluto. Ma innanzitutto, questo assoluto che cos'è se non un'Identità assoluta, quindi di per sé esempio di un limite che determini il tutto visto necessariamente all'interno della parte. La realtà, di per sé coerente, descritta nella Fenomenologia dello spirito, racconta di uno specifico contesto che è quello della modernità e del lavoro. La Fenomenologia dello spirito potrebbe essere pensata come grande romanzo sul lavoro. Ma se ci estromettiamo da una dialettica e ci poniamo in un'ottica invece paradossale e ironica, vediamo come questo risulti essere un particolare in mezzo a tanti. Fenomenologia dello spirito come il Corano, come la Costituzione italiana etc.
L'unica cosa che resta da fare per un'indagine che prenda atto della condizione di compiutezza propria della ragione, è di smontare i giocattoli. Nel fondo di ogni cosa si troverà quel concetto che Heidegger indicava come il più ovvio e il più generale, ovvero l'Essere.
L'Essere è innanzitutto il primo postulato. Inizia e finisce in sé stesso.
Ad esempio quando io dico che la rosa è rossa, la mia frase avrà senso all'interno della categoria stessa dell'essere, perché al di fuori di quell'essere stesso la rosa non sarà assolutamente rossa. Al di fuori dell'essere non si darà niente che sia pensabile.
L'Essere è il responsabile del fondamento di ogni realtà, che sia essa materiale o spirituale.
Dovremmo immaginarci l'Essere, però, come un bullo che abbia deciso di prenderci in giro. Fare un gioco dove ogni contestualizzazione di verità conserva in sé delle regole che per determinare la realtà di quello stesso sistema, hanno bisogno di essere insieme seguite e violate ma sempre all'interno di sé stesse. Così si viene presi in giro. Si viene trasportati nel giro, dove vi è un limite di possibilità determinato. Il carnefice è in questo caso l'Essere. Esso è indistruttibile, imbattibile. Può essere affrontato solo con l'umile forma di rispetto che è l'ironia. Al limite dell'Essere diventare consapevoli che ciò che è, non è che un particolare in mezzo al resto, dove non sappiamo cosa d'altro possa esserci, semplicemente perché siamo ad ogni modo inclusi sempre (e paradossalmente) nell'Essere.
Lo stesso vale per questo mio discorso.
Che resta da fare?
Passare dall'angoscia al riso. Farsi una grande risata davanti alla verità della verità/falsità.
Oltre l'Essere non c'è che l'impensabile, che noi stessi possiamo dire esserci proprio all'interno della categoria dell'Essere stesso. Ma al di fuori... si, nient'altro.

Luca Atzori