mercoledì 30 marzo 2011

PARABOLA NUMERO 1: PERCHE' ESSERE SEMPRE GENTILI

Un mattino, poco prima del primo pasto, quando ancora eravamo troppo stanchi per pensare, il Maestro ci fece riunire in cerchio, e ci invitò a tenere alto il capo, per abituarci ad andare contro la nostra più pigra volontà.

Accese un fuoco molto lieve, dopodiché iniziò a raccontare della parabola del sacco di merda.

“Un uomo, scoprì un giorno, che all'interno della sua stalla vi era poggiato un sacco pieno di merda.
Era un sacco di spugna di cotone, tutto ripieno di merda, per l'appunto.
L'uomo sentiva forte la puzza, e non poteva sopportarla.
Tutt'al più non si capacitava del fatto che si trovasse dentro la sua stalla, così prese il sacco e lo lanciò fuori, sulla terra madida.
Guardava a quel sacco con profondo disprezzo, e provava un senso di intenso odio.
Non si capacitava del fatto che si potesse trovare dentro la sua stalla, proprio la sua!
Lui che era una persona onesta, che aveva sempre esercitato il suo lavoro di agricoltore e allevatore con grande zelo e amore.
Era così adirato che tornò a casa e prese un coltello da cucina.
Si scagliò verso il sacco di merda e iniziò a prenderlo a coltellate con tutta la rabbia che aveva dentro, quasi si trovasse dinnanzi all'oggetto che rappresentasse l'origine di tutta la sua infelicità.
A un certo punto, si rese conto che il sacco era ormai ridotto a brandelli, e che era lui adesso ad essere tutto cosparso di merda.
Passò lì di fianco la donna che lui amava, la quale vedendolo ridotto così, iniziò a ridere.
Questo gli generò una profonda tristezza, dalla quale non si riprese mai più.

Un altro uomo, invece, scoprì un giorno, che all'interno della sua stalla vi era poggiato un sacco pieno di merda.
Era un sacco di spugna di cotone, tutto ripieno di merda, per l'appunto.
L'uomo sentiva forte la puzza, ma la sopportava. Si domandò chi mai avesse potuto lasciargli questo misterioso segno.
Prese il sacco e dolcemente lo portò fuori.
Guardava con curiosità quel sacco, e provava una profonda pena per chi gliel'aveva lasciato.
Era stato sempre onesto, e aveva esercitato il suo lavoro di agricoltore e allevatore sempre con grande zelo e amore.
Prese il sacco di merda e lo portò verso il bosco. Lo lasciò accanto a un albero, dove lentamente si sarebbe confuso con la terra e gli arbusti.
Ad un certo punto si domandò – e se dentro quest'albero, oltre alla merda, ci fosse dell'oro?- ma poi rispose a sé stesso – non importa, è meglio tenersi le proprie ricchezze, piuttosto che sporcarsi, magari inutilmente-
Mentre tornava indietro, incontrò una donna che rimase incantata davanti ai suoi occhi colmi di gioia.
Tornarono a casa insieme e rimasero felici per il resto dei loro giorni.
È per questo che io vi insegno, discepoli: siate gentili, sempre!”

Il maestro diceva questo, lui che con noi, era stato sempre severo, poiché sapeva che eravamo abbastanza dotti da poter accogliere le sue grandi parole.

Luca Atzori

giovedì 17 marzo 2011

CONTIGUITA' E NEOBAROCCO

In molti autori, si presenta spesso il bisogno di narrare, descrivere e rappresentare la realtà, così per come essa è, cioè come qualcosa di distinto da sé.
È l'atteggiamento messo in pratica dal romanziere tradizionale , che (come è giusto che sia) si prefigge l'obiettivo di raccontarci una storia.
Il romanzo diventa così un oggetto dentro cui entrare, un mondo a sé, dotato di tutti i particolari che riguardino i personaggi, le situazioni, le ambientazioni, i dialoghi etc.

Molti aspiranti scrittori, sono soliti, (in particolare i nostri contemporanei, e non casualmente) al loro inizio, di cadere nel difetto del barocchismo.
Utilizzano un linguaggio arcaico, costruiscono periodi lunghi, mettono in risalto uno stile liminare fra il poetico e l'enfatico. Questo rende difficile lo sviluppo della storia, che perde di centralità, così che spesso (per i più volenterosi) inizia un processo (necessario) di limatura dello stile.

Nessuno di questi, sa però che cosa si intenda più da vicino con il termine “barocco”.
Per prima cosa bisognerà dunque porre una precisazione.
Il romanzo che abbia una caratteristica che sia figlia di una certa linea secentesca (e preciso perciò, che non s'intende i soli Gongora, Guarini, ma anche scrittori del decadentismo da Carlo Dossi, a D'annunzio ad Arbasino etc) la parola diventa contigua.

Lo scopo che ci si prefigge è in tal caso il raggiungimento di una coincidenza fra la forma e contenuto.

Non è più l'oggetto della storia in sé a interessare (oggi facilmente sostituibile dal cinema, la televisione, internet etc) ma piuttosto le parole stesse, che nel point of vieu soggettivo dell'autore, diventano ombra dello sguardo in sé dietro il quale possano rivelarsi tutti i mondi possibili.
La letteratura in tal caso è contigua fra la verità e il suo contrario, e per ciò stesso acquisisce un valore di autenticità, in quanto l'oggetto in sé non si presenta più come il cuore di un mondo dotato di tutti i suoi elementi di oggettività. I romanzi di Tolstoj, Dostoevskij, Mann, fanno parte di una tradizione che diventa sempre più difficile da perpetuare, proprio perché nessuno scrittore contemporaneo potrebbe riuscire a scrivere un bel (PRECISIAMO, BEL) romanzo di 600 pagine e farsi leggere con la più grande sincerità da parte del lettore.

La letteratura è oggi più prossima a una nuova forma di barocco, dove lo scrittore non può che fare emergere nel tramite delle sue parole, il suo sguardo sul mondo, messo a servizio di una narrazione lanciata a tratti, spezzata, mai vera, dove il limite è fra lo sguardo del lettore e la parola che si fa assente in un intimo contatto fra i cuori, come un fiume entro il quale disperdersi, messo in mostra dalla traccia dello scritto, testimonianza pura che porti per paradosso alla scomparsa dell'ego, e perciò della "realtà" stessa.

La letteratura serve (oggi) proprio a depurare il visibile del reale (troppo reale).

Essa porta con sé la consapevolezza di quanto tutto ciò che esista possa esserci suggerito dal linguaggio e da esso soltanto.

Per questo essa deve essere contigua, cioè non più avere come oggetto di narrazione le cose.
Non più dare valore a una finzione riconosciuta dai molti come la meglio accettabile, ma piuttosto avere come oggetto la letteratura stessa, come strumento oltre il quale perdersi per giungere a toccare i mondi immaginati con il massimo di quel contatto concesso dalla parola nuda, unica testimonianza oltre la quale non vi sia che il nostro stesso divenire, affine a quello dell'autore, dove non c'è alcuna distinzione fra gli esseri, e dove la letteratura diventi non più il monumento di una illusione, ma un punto di contatto, dal quale rendere vivi i sogni, in una verità totale di superficie, barocca e contigua.


Luca Atzori

domenica 13 marzo 2011

LA PROSTITUTA

La prostituta è una donna che esercita una onesta professione, la quale comporta al proprio interno la realizzazione di un percorso che in poco differisce da quel che si svolge in una normale terapia psicoanalitica.
Il cliente (intelligente) paga per conoscere la misura riferita al livello della sua apertura verso l'altro. All’altro egli da un valore, lo rende merce.

Il rapporto con una prostituta, è una mini-storia d'amore, dove lo scambio monetario rende impossibile il manifestarsi di qualsivoglia illusione o menzogna, proprio perché è dal corpo che si parte, ponendo una croce sopra tutto l'ambito concernente la seduzione e altre perdite di tempo simili.
Non è la soddisfazione che si raggiunge (perché chi potrebbe essere soddisfatto di andare con una puttana?) ma il rapporto in sé, il rapporto visto e vissuto, senza il pregusto della conquista, e della performance teatrale che riscontri il suo applauso.

Ritengo che nell’attuale società dove il dio mercato è onnipresente, in ogni angolo anfratto respiro e viscera, il mestiere della battona si possa ritenere più onesto e puro di quanto non si possa immaginare, e inoltre sia un’ottima lezione sull’economia stessa e il suo funzionamento.
Le ragazze di buona famiglia, sono, invece, spesso molto disoneste, poiché quel che praticano è il furto dell'anima. Richiedono all'innamorato attenzioni, soddisfacimento dei capricci, pretesa di diversi elementi spesso materiali, quali oggetti preziosi e costosi, cene, macchina, reddito alto etc, e spesso possono essere rese quiete solo da un approccio selvatico e primitivo, che eluda qualsivoglia lagna, anche se quel che viene reso manifesto non è che un dispendio fine a se stesso, dove ciò che si deve nutrire è il simulacro di un’identità seduttiva che di per sé è ugualmente oggetto, feticcio, fantasma, ma che rappresenta valori altri rispetto a quelli legati all’oggetto della voluttà stessa .
Ciò spiega non che ci sia qualcosa di sbagliato nel comportamento in sé delle ragazze cosiddette “normali”, ma piuttosto che per quanto riguarda la sfera della sessualità viviamo in un mondo totalmente ignorante, e le uniche docenti (che dovrebbero essere poste a livelli universitari) sono proprio le troie.
Tutti siamo tenuti a tacere davanti alla realtà dei nostri desideri, e facciamo questo spendendo il nostro denaro in altri oggetti e beni che servano a compensare la nostra colpa cattolica.
Premetto che ritengo il sesso un elemento fortemente mal valutato. Siamo circondati di messaggi sessuali che ci inducono in ogni momento a desiderare rapporti spesso il più “trasgressivi” possibile. Oppure ci si fionda in relazioni sentimentali fondate sulla menzogna, dove l'uno non è realmente interessato all'altro se non per propri fini che siano legati a qualche vuoto o bisogno di affetto o punizione e via dicendo. Tutto questo comporta un grande rallentamento alla conoscenza di se stessi, poiché il conflitto determina un elemento primario, dove l’altro è si un oggetto, ma al quale noi non sappiamo quale valore dare.
La prostituta mette invece in primo piano l'atto sessuale, dal quale si parte. Il rapporto con una puttana permette di vedere il sesso non più come un fine, ma più come un mezzo.
Pago, faccio sesso, saluto. Questa è la sequenza. È evidentemente il più delle volte molto triste e squallida, indubbiamente. Ma andando oltre il semplice contratto e considerando la situazione da un punto di vista umano?
Forse ci renderemmo conto di quanto tutto il resto sia evidentemente squallido e meschino, in confronto all’angelo che solo in mezzo a una strada o nei luoghi più apparentemente schifosi possiamo incontrare.
Pierre Klossowski definiva la puttana una moneta vivente, ovvero quel corpo che in sé non avrebbe prezzo, ma che lo acquista mediante il pagamento che lo porta ad indossare i panni del fantasma che abita nella mente del fruitore, divenendo un simulacro vero e proprio, mostrantesi come il trailer di un film d’amore.

Questa è una delle realtà. Ahimè diventa difficile essere veri, se non in quei momenti in cui si dovesse conoscere quel fenomeno chiamato amore, di per sé gratuito, proprio come la morte e la vita, e altrettanto miracoloso, raro, del quale la maggior parte degli uomini hanno la sfortuna di vedere solo il miraggio, in tutta la loro vita
La prostituzione non è né una retta via, né un qualcosa di mortale, ma solo una professione dotata di una dignità che ad altri mestieri risulta addirittura mancare.

Luca Atzori

mercoledì 9 marzo 2011

PREGHIERA ALTRA




Barchetta di carta di Amalia de Bernardis


di Luca Atzori


“Preghiera altra” è il titolo della raccolta poetica edita dalla casa editrice romana “Aletti editore”. L'autrice è Amalia de Bernardis, classe'84cosentina di nascita, torinese di adozione.
Amalia opera nel campo del teatro e ha una sua associazione culturale chiamata “Cantiere Altrigo”, con la quale si prefigge l'obiettivo di esplorare il tema dell'alterità, attraverso la sperimentazione scenica e performativa.
Questo è il suo primo libro, e porta con sé una forte traccia di un contenuto.
Sin dai primi versi, ci si rende conto che le parole possiedono una vita, e più che lette, ricordate, o capite, vanno viste, vissute, ascoltate e digerite.
Un' opera certamente teatrale, dove la poetessa porta presso di sé il compito di esporsi nuda, come se la nudità fosse l'unico vero vettore di conoscenza. Un'esposizione antisociale, antiumana. Sono le parole di chi non ha una compagnia. Di ogni anima sola.
Di quell'essere umano assoluto che è poeta e insieme attore. Di chi si dichiara folle, dal luogo di un oltre che noi possiamo ascoltare dentro noi stessi, senza per ciò stesso vederlo, se non attraverso qualche barbaglio che nelle preghiere di Amalia si manifesta a tratti, seppure per definizione irraggiungibile, se non da se stessi, oltre sé stessi.

L'ho incontrata e intervistata in un bar di Torino.




Amalia, la prima domanda che vorrei farti è se si può indicare un genere letterario in cui si possa comprendere la tua opera.

Io non credo in un genere letterario. Scrivere è urgente, e non mi pongo interrogativi sul “come” o sull'estetica. La mia scrittura è impulsiva, e non ragionata. Nasce come un vomito. Posso dire che le autrici che sento più vicine a me sono Mariangela Gualtieri e Margherita Yourcenair.
Ma per il resto non amo le limitazioni, perciò non amo i generi.

Hai però una tua visione, una tua “poetica”.

Mi chiedi se ho una mia visione... posso risponderti che io ho le visioni. Le mie poesie sono traduzioni di quel che vedo. Io ricerco l'altro, l'oltre. Cerco di perforare le cose per trovarne il nucleo.
Scatto fotografie alla realtà e alle mie sensazioni. Non ho il potere di bastarmi, ho bisogno continuamente di superarmi.
Ho inoltre un forte rapporto con i sogni, e alle volte ne sono ossessionata.

Ti servi spesso dell'utilizzo di una chiave mitologico religiosa. Perché?

Devo partire dal principio. Credo che ciascuno dovrebbe riuscire a crearsi un nuovo Vangelo, una nuova Bibbia.
Sono inoltre molto legata alle questioni di fede, e non a caso ho fatto uno spettacolo su Maria Maddalena.
Poi sono calabrese, e dove sono cresciuta Dio è molto presente. Per questo mi rivolgo spesso a lui, per giustificare i miei dolori. Questo per me è il senso dell'incarnazione.

Che significato ha il titolo dell'opera?

È la preghiera che non si rivolge ai santi. La preghiera come scrittura, e perciò momento di alta sacralità. Preghiera che si rivolge all'altro, dove il limite ultimo sono le parole, davanti alle quali chiudere gli occhi, proprio come nelle preghiere, e semplicemente recitarle.

Da quello che dici si intuisce il sodalizio che cerchi di raggiungere fra il teatro e la poesia.

Proprio perché è preghiera è orazione. È con l'immagine che mi do che cerco di recitare la mia preghiera. Voglio dare una carne ad esse (le parole). Voglio che possano toccarsi. Voglio dare loro un'identità. Non sono parole che vanno lette, vanno solo rigurgitate.

Perché la scelta di certi miti?

Ad esempio ho scelto il mito di Icaro perché rappresenta una persona del mio passato che viveva davanti la mia finestra. Maria Maddalena è stata perseguitata perché non fosse mostrato un certo modo di vivere la sacralità. Siamo figli di una religiosità maschile. Io credo fermamente nella passione, nel senso di patire e insieme nel senso di amare.
Achille è l'altro incompreso. Pentesilea si arrampica alla sua gola, come a quella di un Dio. Achille è il Dio in carne umana. La scuola ci ha fatto ingoiare tante puttanate riguardo i miti greci. Io credo che noi si abbia il dovere di ricercare il mito per partire dal principio, e tradurre la propria vita.
Il poeta è una creatura scorticata che deve mediarsi con l'umanità.

La dedica per chi è?

È dedicata al mio compagno. E questo libro è nostro figlio. Cerco di esprimere l'amore come forma di estasi mistica. Come meta. Cerco di esprimere l'abbandono totale, reale.
Lo faccio senza ricercare particolari stili. Sono sgrammaticata e lo sono per scelta. Non credo che l'arte debba risolvere il proprio linguaggio, ora si tratta di passarci attraverso. Abbiamo bisogno di contenuti. Non c'è più bisogno di talenti, c'è bisogno di genio.

martedì 1 marzo 2011

LA TRASGRESSIONE

Tutta la sfera che riguarda l'ambito della trasgressione, ritengo sia da ritenersi come la forma più paradossale di schiavitù che l'uomo possa concepire.

Quando decidiamo di trasgredire, siamo animati dall'illusione di poter giungere oltre un precetto e un'imposizione, e lo facciamo o violando o mancando di rispettare una regola pre-imposta.

Ma piuttosto che di un andare oltre, si tratta tristemente (e più precisamente) di un accogliere, un dire si, un chinare il capo.

L'unico luogo che possa dirsi proprio dell'oltre, è quello vicino alla sfera del non-sapere.

Il punto è che perché la trasgressione possa darsi, questa deve essere sempre preceduta dalla idolatria di una norma o un pensiero (in tal caso sempre altrui e accettata da altre moltitudini).

Ogni qual volta noi si trasgredisce, proviamo il piacere di essere riusciti a liberarci di quel perentorio richiamo ossessivo che si presenta con il “tu devi”.

Ma questa che noi crediamo essere una forma di emancipazione, non è nient'altro che una favola che noi raccontiamo ai nostri sensi, costituita apposta per rendere maggiore forza a quella legge che potrebbe essere di natura totalmente avversa rispetto a quelli che sono i nostri autentici bisogni.

Ogni legge non può essere in alcun modo una legge, e questo è quel che il trasgressore, inebetito dalla propria narcotica spinta libidinosa, non capisce, non può capire.

Per questo chi trasgredisce è schiavo, perché crede.

Esistono forse forme di trasgressione consapevoli e perverse, che in tal caso non bisogna in alcun modo condannare, in quanto chi le esercita, sono individui capaci di credere apposta per godere, e quindi capaci di non-sapere, capaci di non intendere.

Essi sono mostri, sono Santi.

Ma la trasgressione di per sé, per come viene comunemente intesa, è la condotta più antifilosofica che si possa assumere.

La trasgressione consiste nell'emarginazione di alcune realtà umane, di alcuni aspetti della natura.
È di per sé una risata sciocca, condotta insieme agli sciocchi, a discapito della felicità di Orfeo.

La trasgressione ha un che di volgare, perché rende reale ciò che c'è di più meschino nel consenso delle masse.

La trasgressione è produzione di spazzatura, e nient'altro.

Luca Atzori