martedì 16 agosto 2011

APOLOGIA DELLA SUPERFICIALITA'


Ogni volta che si tenti di approfondire la conoscenza di un qualcosa che ci ha dato dal principio una cattiva impressione, si andrà sempre verso il peggio, ci si troverà costretti a interfacciarsi con ciò che noi non saremo mai in grado di amare, e spesso se ne diventerà paradossalmente (e ridicolmente) succubi.
Per le persone di buon gusto, è difficile, ma è anche un dovere quello di imparare ad essere totalmente superficiali. L'impressione che noi abbiamo delle cose, ci porta sempre il nostro luogo di sensazione in rapporto a quella cosa specifica. Quell'impressione ci dice sempre la verità su quello che per noi la cosa può significare, e insieme ce ne illustra l'utilità potenziale. Si vuole spesso non voler risultare “snob” cadendo così nella trappola degli umili, tradendo la fiducia nei propri sensi.
I sensi (quando sono tali, e non semplici convinzioni o pregiudizi) non mentono mai, alla faccia di Cartesio e dei suoi sciocchi dubbi.
Il senso del disgusto è una virtù estetica. Qualora sia fine a sé stesso diventa un vizio. Il disgusto, non avviene per il piacere del disgusto in sé, ma verso le cose in relazione alla nostra soggettività, per ciò stesso con attenzione verso la sfera della nostra progettualità, e quindi, in poche parole, esso è servitore della nostra esistenza presa nell'insieme. Lo stesso dicasi per ogni forma di sincero apprezzamento che porti come tale benessere e piacevolezza.
È vero però che non ci si può semplicemente soffermare solo sulle apparenze e non si può restare in superficie. A un certo punto della vita ci si rende conto che è necessario “crescere”. Che cosa significa in fondo questa parola tanto impegnativa quanto dolorosa (seppure sia un vocabolo da sempre necessario)?
Significa semplicemente non farsi più imboccare. In ogni senso. Ciascuno dovrà cioè tendere alla superficialità, ma come punto di arrivo. Nel mentre, tutta la sfera di cose che avremo deciso che ci piacciono o non ci piacciono, quelle dovranno essere messe in discussione. Che cosa veramente ci piace? È possibile vivere fino in fondo ogni cosa, pur restando in superficie?
La risposta alla prima domanda è semplice: ci piace ciò che ci fa star bene.
La risposta alla seconda è che si tratta di un esercizio molto difficile che richiede la profondità più vuota e abissale.
Tutto ciò che bisogna arrivare a ottenere, è il silenzio del dubbio. Incontrare un qualsiasi oggetto, persona, evento, averne una cattiva impressione ma accontentarsi, non può che essere nocivo, oltre che completamente inutile. Tutto ciò nasce dal senso di colpa che ci induce la parola “superficialità”. Bisogna ripensare questa parola come la virtù dell'intuizione, propria solo di chi abbia capito fino a fondo il proprio gusto, e perciò se stesso. Dalle sensazioni parte l'esperienza dalla quale consegue la conoscenza. Tradire le sensazioni significa abbracciare l'ignoranza.
Tutto ciò che ci provocherà disgusto andrà evitato, o trattato con disprezzo. Tutto ciò che ci provocherà interesse andrà trattato con attenzione, e viceversa per ciò che non ci interesserà. Tutto ciò che ci farà innamorare andrà amato, e viceversa valga per l'odio.
Per arrivare a questo bisogna però non lasciarsi cullare da una nevrosi fatta di false convinzioni o chimere dai falsi riflessi, ma bisognerà essere arrivati a pieno contatto con il proprio centro.
Chi sa, non ha bisogno di pensare. Al sapiente basta sentire.
Essere superficiali significa avere imparato ad amare la macchina più adorabile che esista al mondo, che è quella che siamo noi stessi.

Luca Atzori

martedì 9 agosto 2011

DISGRAZIA E REDENZIONE





La disgrazia è l'apparenza della redenzione.
Noi siamo perennemente in guerra con la nostra redenzione.
La nostra redenzione non ha apparenza, per questo è ineffabile.
Noi possiamo abbandonarci, senza coscienza.
Tutto ciò che riguarda l'apparenza è una negazione della nostra disgrazia.
Non c'è traccia di disgrazia nella redenzione.
Era redenzione, quella disgrazia.
Ma era disgrazia, nell'apparenza.
Arrendersi alla redenzione.
Noi possiamo adagiarci nell'euforia, ma finché servirà a celare la disgrazia o donare sorrisi agli altri, sarà solo una truffa, un bluff, quella felicità, intendo.
Dopo il bluff tornerà la disgrazia, con gli interessi.
Bisogna arrendersi.
Perché arrendersi?
Perché condannati alla verità.
Ci siamo condannati da soli, perché abbiamo odiato il falso.
Il falso è il coperchio della redenzione, dapprima della disgrazia.
È la morte.
Amare la vita, è una disgrazia?
Tutto arriva prima o poi.
Raschiare le proprie possibilità fino a toccare l'impossibile.
Farsi muti.
Da lì un miracolo.
Si, è una disgrazia.
Ma è necessario.
È una maledizione il vero. Una maledizione inflitta dal falso.


(ogni tanto guardo le stelle stampate sul cielo nero, e divento certo che la geometria è un disegno fatto su un foglio di carta, bianco...)

Mi chiamo Luca Atzori, e ho sei anni.