lunedì 4 aprile 2011

IL DIVERTIMENTO NON MI DIVERTE


“divertirsi significa essere d’accordo.” Adorno

Il divertimento è la più sofisticata forma di controllo che sia mai apparsa nella storia dell'essere umano.
Il potere si è evoluto in una forma di organizzazione, dove il ruolo non è più quello di esercitare il terrore, ma piuttosto quello di garantire una sorta di piacere esteso a tutta la massa.
Gioia di vivere nell'era dei consumi.
Un piacere preconfezionato, dosato, territorializzato.
Un'educazione ruffiana, pensata apposta per agguantare ogni singolo nelle braccia del Leviatano.
Come Adorno spiegava nel capitolo dedicato all'Industria Culturale ne La dialettica dell'illuminismo, l'unica regola è “adattarsi”. Le emozioni vengono impacchettate, identificate, visualizzate e poste al limite, dove il resto è panico, fatto di emozioni troppo costose che bisogna dimenticare in fretta, per non venire rinchiusi in qualche clinica.
Il fine è quello di mutilarsi del regolare flusso vitale, per accogliere passivamente il sorriso disegnato e atto a garantire l'esistenza in questo mondo fatto di barbarie.
Non è la più pura consapevolezza che si ricerca, ma piuttosto il dimezzamento fra la parte conscia e quella inconscia, dove alla seconda venga assegnato un automatismo animale, innominato, taciuto.
Il divertimento è una perdita di tempo, e porta solo a ridicolizzare tutta una certa sfera umana della quale siamo analfabeti, in particolare quella emotiva. Noi non possediamo più una lingua che possa farci esprimere le nostre emozioni.
Siamo abituati ad avere paura l'un dell'altro, a dover apparire felici per sembrare forti, quando siamo in fondo solo isterici.
La fragilità è diventata una vergogna, perché è diventata una vergogna essere vivi.

Il divertimento, in realtà, non arriva mai. Avviene sempre che lo si sfiori, ma non lo si afferra. E anche quando lo si è sfiorato, si è tentato piuttosto di portare agli altri l'illusione della propria felicità. Ciascuno cerca di inseguire la felicità dell'altro.

Bisogna certo distinguere il divertimento dalla gioia, anche condivisa, intesa nello stretto senso del termine.
La gioia, soprattutto quando è vissuta a livello comunitario, è il più grande esempio di amore per la vita. Una solarità che non sia determinata dall'entusiasmo di stare in mezzo a un branco di mentecatti, ma piuttosto di essere con quelli giusti, affini.
Quando Pascal parlava del divertissement, lo intendeva come quel momento di distrazione, dove si perda il proprio centro e si giunga nella zona della spensieratezza, dove la vita e la morte vengono occultate.
Il divertissement è quel momento in cui si diventa stupidi per poter vivere, e in cui perciò si entra a far parte della morte.
Ogni aspetto realmente vitale, viene percepito come foriero di “pesantezza”.
È così che ciascuno si adegua alla vuotezza dell'altro, senza portare con sé la dignità del proprio ventre.
La pancia, nell'era del divertimento, è soggetta ad insulto, manipolata, tratta in inganno, violentata.
Un mucchio di rincoglioniti e sciacquette che si incontrano in un locale e iniziano a danzare al ritmo tribale che li educhi alla deficienza, accompagnati da una narcosi alla quale sono giunti non per una pura disperazione (anche se questa è l'ingrediente fondamentale nella società dei consumi) ma piuttosto per poter comunicare l'un con l'altro, dove per relazionarsi bisogna essere delle sorte di mongoloidi, totalmente spensierati, felici di vivere in questo mondo perfetto fatto di sterco.
Molto spesso gli stessi sono perfettamente in grado di avere strumenti critici durante le loro giornate trascorse in grigie università, o in qualche luogo dove magari esercitano un qualche impegno politico di non so qual sorta.
Quando mi imbatto in chiunque sia preso nell'atto di divertirsi (in particolare quando vedo come lo fa) è come se in quel momento cascasse l'asino, e mi si parasse davanti la vera posizione che questi occupa nel mondo. Posso capire tutto da una risata, da un atteggiamento, un apprezzamento, una caduta nella volgarità.
Ciascuno è tenuto ad assumere il proprio aspetto in funzione degli altri.
Essere serio di giorno, di notte prenderti da parte e svelarti di essere privo di cervello.

Ammetto personalmente di aver tentato più volte di divertirmi, e di continuare a tentare. Ma ahimè, ogni volta, mi rendo conto che due sono gli esiti:
o il divertimento non esiste per nessuno
o il divertimento non mi diverte.

Luca Atzori