sabato 28 agosto 2010

NEL NOME DI DIO RIPOSA IL SENSO DEL LINGUAGGIO

La filosofia teoretica, così per come viene ripensata da Carlo Sini, dovrebbe risultare per metà come una scienza rivolta all'universale, e per l'altra al particolare.
Secondo il filosofo bolognese, il problema della filosofia è che oggi essa “pensi troppo”. Quella che noi ancora ci accingiamo a definire come “amica della sapienza” dovrebbe evolversi in un' “etica del pensiero”.

Effettivamente dopo Heidegger non è più possibile pensare di accedere all' “universale” se non per mezzo del veicolo “particolare” che trova sede nel linguaggio.
Il concetto stesso di “universale” è di per sé particolare, diremmo anzi che tutto ciò che può ritenersi accessibile alla coscienza, ovvero tutto il piano eidetico, può essere pensato come oggettivo.

L'essere umano tende a trasformare tutto in un oggetto, anche ciò che è inoggettivabile, e questo è il suo Sommo Limite.
Anche il cibo viene cucinato e aromatizzato, e non divorato direttamente come fanno gli altri animali i quali occupano il piano dell' intimo, dell' immanente (come direbbe Bataille ne “La teoria della religione”).

Per etica del pensiero si intende perciò un nuovo modo di “abitare” il pensiero, partendo dal presupposto che si può accedere ad esso solo mediante il linguaggio.

Talvolta mi immagino una spada che trafigge il pianeta terra.

Tutto il senso abita nel linguaggio. È così che noi abbiamo controllo sugli utensili che rendolo potenziale il nostro stesso futuro, e così ogni nostro progettarci. Il linguaggio è una forma meglio sofisticata di oggettivazione, cioè è la creazione di un mondo “conoscibile” che fa da riflesso a quello “noumenico” , il quale non conosce separatezza, trascendenza, è uno specchio che mostra unicamente se stesso.

Quando si va incontro a “Dio” e di conseguenza verso tutto il piano di enti immaginari (angeli, unicorni, paperino, montagne dorate etc) si va incontro all' intera irrealtà del linguaggio, ovvero ci viene mostrato quanto siano effettivamente tutti gli enti ad essere immaginari. Questo è il senso della Metafisica.

Più che in un'etica del pensiero, io ritengo che la filosofia debba piuttosto evolversi (o meglio dire risolversi) nella Poesia.

Nel nome di Dio riposa il senso del linguaggio.

Luca Atzori

mercoledì 25 agosto 2010

UN POMERIGGIO DI AGOSTO

Ho trascorso il pomeriggio dell' oggi di quest' agosto corrente, standomene spaparanzato sul divano e guardare la TV.
Quando ho compiuto l'azione di premere “on” sul telecomando e immediatamente ho visto lo schermo accendersi (accompagnato da quel rumore che ricorda la nascita di mille minipopcorn), ho avuto modo (dopo qualche minuto) di provare una piacevole sensazione, ovvero quella di constatare che il mondo fuori è comunque (nel complesso) più idiota di me, e la cosa mi è parsa rassicurante.

Ho notato che si parla molto spesso di faccende che hanno a che fare con il malgoverno del paese. Viene spesso menzionato un individuo di bassa statura che pare abbia molti soldi e sia pure poco onesto. Pare che anche le figure che gli stanno attorno siano dei furbastri, e che pure loro si servano degli strumenti mediatici al fine di manipolare la gente. Una cosa buffa.

Sarà anche così, però la cosa che in me provoca maggiore stupore è constatare quanto chiunque (anche chi non è d'accordo con questa distopica forma di governo) in realtà sia mosso da una paura che io credo rappresenti il vero ingrediente letale in tutto il calderone: si tratta della paura di veder scomparire la democrazia.

Il fatto che continui ad esserci un governo così discusso e su cui si continuino a scrivere sopra un sacco di fumetti e telenovele (anzi sarebbe meglio dire il fatto che esista ancora questo fumetto e telenovela che è il nostro governo) è dovuto al fatto che si permetta che tutto ciò avvenga, e a tale proposito dobbiamo dire grazie a quella tanto difesa parolina che suona come“Democrazia”.

Perché chi ci governa è come se ricattasse il popolo dicendogli “ringraziate di vivere in un paese democratico” e dicendo questo può anche permettersi di eliminare ogni traccia di democrazia, senza che nessuno se ne accorga.

Ma è proprio all'interno di essa che si rende possibile ogni forma di alternanza. E' come se fossero garantite le bancarelle sopra cui esercitare il mercato.

Certo, se scomparisse formalmente la democrazia sarebbe tutto più difficile. Si tornerebbe a fare i conti con quelle cose come la guerra, che fanno perdere tanto tempo a chi voglia godersi la vita.
Il problema è che nell'attuale forma “democratica” di esistenza garantita, non ci si può permettere nemmeno di soffrire, perché la vita è sempre più simile ad un fumetto, ad una telenovela, molto spesso meno interessante... meglio sarebbe defnirla come una vita “dedicata alla visione di telenovele e cartoni animati”.

E invece no, tutti lì a difendere la democrazia, tutti li a perder tempo.

Di certo però non avevo alcuna alternativa da immaginare, considerando che di tutta questa palandrana in fondo non me ne fregava poi così tanto.

Così mentre facevo queste riflessioni, ho pensato al mio “terzo discorso sull'antiumanesimo” sul ruolo dell'intellettuale che deve limitarsi ai libri, e non deve stare lì a pensare a come migliorare il mondo, e ho deciso di tornare sul letto e leggermi “viaggio al termine della notte” di Celine, un romanzo su cui non avrei niente da scrivere (se non qualche sottolineatura alle frasi che ritengo più significative).

Luca Atzori

mercoledì 11 agosto 2010

TERZO DISCORSO DELL'ANTIUMANESIMO: L'INTELLETTUALE

E' vero che usare la parola “intellettuale” è di per sé scorretto, e intellettualmente disonesto.
L' origine dell'uso di questo termine, va riscontrata nell'illuminismo, quando si pensava che fosse plausibile l'esistenza di un personaggio che avesse come mestiere quello di occuparsi di problemi sociali, politici, e che nel mentre si mettesse a scrivere romanzi o trattati.

Inventare storie di fantasia, o elaborare grandi edifici filosofici, come occuparsi di criticare le opere, o distruggere e far precipitare quelle stesse costruzioni filosofiche di cui sopra, non ha niente a che vedere con l'interessarsi di problemi che abbiano natura sociale.
L'"intellettuale vero", non solo non ha questo compito, ma semmai sa bene che non ne esiste nemmeno l'ombra di un' esigenza, da nessuna parte.
Occuparsi di politica e altre varie faccende, approcciandovisi come se fossero composte di fatti dotati di una certa realtà, è di per sé una follia. Quello che viene definito “intellettuale”, sa benissimo che quando si affrontano certi temi che abbiano in sé contenuto che si voglia dire utile, sta parlando di cose assolutamente false, narrazioni belle e buone, che a differenza della letteratura, della filosofia (quella più seria), e dell'arte in genere, crede arrogantemente di possedere una realtà concreta di base.

E' certo che invece è molto più corretto occuparsi di lettere, perché sin da principio si sa che non saranno mai nient'altro che parole, e che quindi solo attraverso l'analisi di quello strumento e della sua insita falsità si potrà sopraggiungere a un giudizio lucido (forse anche sul “mondo”, che poi bisogna capire bene ancora che cosa sia).

È come se l' “intellettuale” solo perché “conosce la grammatica” si possa occupare di alcune faccende che non sono in realtà competenza di nessuno (se non dei matti).
Questo avviene non a caso! già, perché sono gli uomini di lettere e di pensiero i maggiori esperti nelle arti della narrazione e dell'argomentazione, quindi gli unici a poter donare una vocina che sia degna di quella pretesa “serietà” richiesta in certi campi. E ma si occupano di fesserie. Come se da un giorno all'altro facessimo credere a un'intera nazione di vivere dentro il “Grande Gatsby” o i “Promessi sposi”.

La realtà in cui viviamo è evidentemente una realtà fittizia, una storia (per non parlare della Storia stessa).

Le persone invece di affidarsi a un governo, dovrebbero imparare a gestire la propria vita senza l'aiuto di nessuno (ma questo è un altro discorso).

Come è triste vedere che esistono ancora categorie di persone che dopo aver pubblicato i loro romanzi o i loro scritti filosofici vanno in parlamento a contribuire alla produzione di quell'accozzaglia di stupidaggini che gli italiani si bevono come fossero l'elisir di lunga vita.

Per non parlare di quegli “intellettuali” che scrivono articoli di cronaca nei quotidiani...
Il problema è che se tale categoria vuole sopravvivere, è LETTERALMENTE costretta a prestare servizio allo Stato aiutandolo nell'ornamento di tutte le stronzate che ne tappezzano le pareti.
Stesso discorso vale per gli artisti che di mestiere fanno i restauratori, cioè gli operai.

Certamente per quanto riguarda gli “intellettuali” è però una situazione ancora peggiore, e altamente preoccupante, in quanto si è costretti a credere di credere a una serie smodata di storie (per altro banali) che non hanno ragione d'essere, e che contribuiscono ad abbassare la qualità della vita.

Una follia, insomma.

L'intellettuale si preoccupi delle faccende concernenti la carta, che coloro che credono al mondo vero bastano a segnare la fila dei commentatori/marionette, da sempre fonte di ispirazione per tante nuove storie bellissime da narrare.

Luca Atzori