martedì 14 settembre 2010

PINGUINO



Orchestrina ambulante in scatola


di Luca Atzori


Nell'Estate del 2008 è ritornato alla luce un progetto che già dal 2001 si muoveva fra le strade sotterranee di una Torino fatta di cantautori, musicisti, artisti, uniti come da una insolita e sottile affinità elettiva.
Stefano Amen (già conosciuto come cantautore), con l'entrata di Alberto Moretti ha trasformato il suo progetto in un duo (trovando un equilibrio sia a livello compositivo che performativo).
Le sonorità a metà fra il rock and roll e la musica elettronica si possono riconoscere già nel promo solo del 2001 che si apre con un intro a un loro brano (Yellow) in cui si viene immediatamente catturati dalla semplicità della forma canzone, miscelata a sonorità proprie del nuovo millennio.
Sempre nello stesso disco diversi riadattamenti a canzoni di Syd Barrett (Opel, Late night, gigolo haunt, vegetable man).
Pinguino è un progetto che mira ad esulare dalle singole figure dei musicisti, ponendosi come una forma di evento musicale impersonale.
L' interesse è quello di comunicare un' intenzione prima artistica che d'immagine (cosa oggi sempre più rara).
Due individualità che riuscendo a fondersi e a comunicare il proprio gusto, piuttosto che limitarsi a porre attenzione verso se stessi, sono riuscite a creare un nuovo modo di intendere la musica popolare, rendendola il più attuale possibile.

Quella che qui ci accingiamo a definire come “musica popolare” non smetterà mai di esistere, ma continuerà a trasformarsi, cambiare lingua. Non potrà che indossare i panni dell'epoca di cui farà parte, e così continuerà ad essere, finché ci sarà vita.
Pinguino ne è un esempio.

Riporto qui sotto un' intervista che ho avuto modo di fare a Stefano e Alberto.


Che cos'è Pinguino?

Stefano: E' un progetto musicale che ambisce a rendere contemporaneo un certo modo di fare canzone utilizzando sonorità più moderne.

Potremmo definirlo come un connubio fra la musica rock e l'elettronica?

Alberto: io lo definirei come un sincretismo musicale. È un modo di vedere le cose che in realtà esiste da trenta, quarant'anni, basti ricordare i Suicide, i Soft Cell, o addirittura i Beatles

Stefano: Il nostro interesse è quello di sdoganare la musica cosiddetta colta e rendere possibile un sodalizio con la musica d'intrattenimento. Vorremmo fare musica che piaccia alle femmine.

Come è nata questa collaborazione?

Alberto: In maniera naturale, grazie a Simone Sandretti (che è un regista e performer torinese).

Stefano: Alberto ha visto un mio concerto, abbiamo chiacchierato un po', io già sapevo che faceva musica elettronica, così abbiamo mescolato le cose che avevo prodotto io con le sue ed è nato il duo Pinguino.

So che Pinguino utilizza diverse forme di espressione....

Alberto: Certamente, abbiamo intenzione di usare altre forme di diffusione, ad esempio Video. Inoltre usiamo sempre pochissimi strumenti. Cerchiamo di trasmettere, a livello concettuale, il senso della ripetizione. Come nei film dove avviene il montaggio. Le nostre canzoni sono film di canzoni. E' sempre preprodotta.

Stefano: La musica contemporanea trascura spesso l'aspetto vocale.

Alberto: Per noi l'importante è trasmettere, non c'è bisogno di troppi strumenti. Noi non abbiamo la batteria, ad esempio. All'estero cose del genere si vedono spesso.

Stefano: Infatti vorrei fare una puntualizzazione polemica rispetto al modo di vedere tipico italiano. Noi vorremmo uscire fuori dalle semplici categorie estetiche tecniche.

Alberto: la nostra è un' orchestrina ambulante in scatola.

Stefano: Ma vorrei precisare che questi sono ragionamenti che facciamo a posteriori. Noi siamo interessati solo a far ballare la gente, coinvolgendola a livello emotivo.

So che avete fatto un video...

Alberto: abbiamo autoprodotto un video, si. La canzone si chiama Yellow (www.youtube.com/watch?v=Aiihj2Ob9Sc) . In questo video abbiamo voluto riportare l'attenzione sul progetto, e non fare una sfilata di moda.


Perché avete scelto di cantare in inglese?

Alberto: innanzitutto perché è divertente. Abbiamo deciso di tirar fuori tutte le nostre influenze senza mediazioni intellettuali. Abbiamo sempre ascoltato e cantato musica inglese. Dopo il rock and roll la musica popolare non è cantata solo in dialetto, ma anche inglese.

Stefano: l' inglese ha sostituito il birignao di quando eravamo bambini quando si cantava a wanna sghen. usiamo i versi esattamente come li usavano i primitivi che subito dopo il ritmo di un colpo battuto ripetutamente (quindi un ritmo, quindi il ballo) si esprimevano a versi. Noi vogliamo fare musica popolare elettrica però. Vogliamo essere realisti. Abbiamo anche storie e concetti da raccontare .

Come vedete la vostra immagine di uomini da palco?

Stefano: Noi dissimuliamo noi stessi. Non siamo veritieri. Usiamo delle “maschere”. In questo siamo ispirati da Bowie. Non raccontiamo noi stessi direttamente. Non è centrale la nostra immagine.

Siete attivi da un punto di vista live? E come vi muovete?

Alberto: Al momento siamo autogestiti. Usiamo i social network per muoverci in Italia. Abbiam suonato in Nord Italia, Centro, Sardegna. L'elemento live per noi è preponderante.

Come vi ispirate?

Alberto: Andiamo ad osservare il tramonto dall'ultimo piano del parcheggio a livelli del centro commerciale di Grugliasco, mangiando olive in calce (ma anche alla calce).

State registrando?

Stefano: Stiamo per finire le registrazioni del nostro disco e valutiamo la possibilità di pubblicarlo.

Come si distinguono i vostri due modi di vedere le cose e come si sposano?

Stefano: io ho un'attitudine più autoriale, scrivo e do struttura.

Alberto: Io sono più vicino alla scrittura istantanea. La dicotomia favorisce il sodalizio. Stefano è lunare, sfuggente. Io sono diretto, solare e crudo. Non uguali ma interscambiabili.

Il nome Pinguino?

Abbiamo deciso di utilizzare un nome italiano. Volevamo essere ironici, e poi suonava bene.

sabato 11 settembre 2010

LA COMUNITA' (DOVE?)

“Perché le parole che voi adoperate non sono più parole” Leo Ferrè

Quel che la mia sensibilità di ventiseienne (dal futuro un po' incerto, ma che in fondo non c'è poi interesse a render chiaro più di tanto)... quello che avverte incombere attorno a sé, è l' “estinzione” del concetto di comunità.

Di per sé la comunità è incoffessabile come avrebbe detto Blanchot, o inoperosa come avrebbe detto Nancy.
Celata dalla frana degli oggetti che sono il frutto della produzione stessa, o dall'identità marchiata, come ogni sentimento, ogni malattia, ogni desiderio, marchiatI.
Così, illusi, camminiamo insieme con lo sguardo rivolto verso il compimento del nostro successo, cercando di specchiarci in quel fabbricato, dichiarando al mondo “anch' io ho fatto qualcosa, anch' io produco!” mentre gli sguardi diventano persi, distratti (intendo quelli rivolti al cuore).

Il comunismo reale è l'esempio più lampante di che cosa significhi tradire la comunità.

La democrazia è un altro problema, il più grande intralcio attuale. Essa garantisce lo sviluppo dei grandi poteri economici mondiali (che non a caso hanno scelto questa forma di organizzazione politica), agendo come un sedativo nei confronti di ogni senso comunitario.

Ogni qualvolta gli uomini progettino in vista della costruzione di un sistema funzionante, tradiscono l'originaria necessità di essere insieme comunitariamente.
Un esempio è l'università, dove molti studenti ambiscono a diventare ricercatori, ignari che per diventare tali devono sottostare a regole che non fanno altro che rendere la cultura sempre più costretta al silenzio, perché imbrigliata in regole che sono quelle della produzione, dell'accumulo di beni, bisogni. La solita storia.

Il bisogno più urgente pare essere quello di crearsi un futuro, e così tutti a spintonarsi affinché uno arrivi prima dell'altro. E non importa se quel che si avrà da dire o fare sarà più o meno importante, sarà una machiavellica fortuna ad assegnare la vittoria, la garanzia di una vita meno contestabile.

Accidenti alla motivazione.

A soffocare la comunità è oltremodo il linguaggio. Capita spesso di incontrarsi e parlare, piangere, gridare, ridere insieme, ma questo avviene accidentalmente, e non reca con sé alcun potere. È un grido di disperazione concesso e qualsiasi dichiarazione condivisa e conosciuta, è una realtà che va a posarsi sulla comunità stessa come un telo sopra un morto.

Oggi sappiamo che la comunità è un concetto impossibile. Quando ci rivolgiamo ad essa, ci richiamiamo al piano dell' esperienza: indicibile, irrappresentabile.
Una comunità dove ciascuno sia reso invisibile (insieme alla comunità stessa, come oggetto paradossale di pensiero).

That's all folk's

Luca Atzori