domenica 6 novembre 2011

BATAILLE E LA SOVRANITA': UN HEGELISMO SENZA RISERVE

L’introduzione alla lettura di Hegel, di Alexandre Kojève, è il testo attraverso il quale Bataille si avvicina al grande filosofo tedesco, una raccolta di lezioni incentrate principalmente sull'argomento dialettica servo/padrone. Il servo viene visto come “facitore di storia” dove il suo stesso lavoro rappresenta il momento del negativo. Il processo dialettico viene configurato come un passaggio che porta ad una liberazione, attraverso il lavoro. La Fenomenologia dello spirito può essere definita, infatti, come una “filosofia del lavoro”.  Servo e padrone sono interdipendenti, perché il primo lavora per il secondo, mentre questi capitalizza il primo, al fine di perpetrare il senso del lavoro medesimo. Bataille propone una figura differente, ed è quella del sovrano.
 
 
Che cosa si intende per sovranità?
 
“La sovranità di cui io parlo, ha poco a che vedere con quella degli Stati, definita dal diritto internazionale. Parlo, in generale, di un aspetto opposto nella vita a quello servile o subordinato.” Bataille La sovranità
 
Il sovrano può essere definito come colui che non ha alcun bisogno di accumulare, che non dipende da nessuno. Colui che tende a proiettarsi nella perdita più totale, per risiedere nel non-senso. La sfera della sovranità prevede che ci si sia estromessi dalla paura della morte (condizione propria del servo, per dirla in termini hegeliani) e si sia giunti alla regione del divino.
   Le sue “effusioni” sono quelle dell’angoscia, del riso, dell’erotismo, dello spreco. Bataille considera la sovranità come quella violenza che contraddistingue l’universo inteso come intimità pura, dove non vi sono distinzioni fra “la mia gamba sinistra e quella destra”. Il sovrano non può concepire la possibilità di avere qualcuno asservito, poiché egli è al di sopra di qualsiasi progetto.
 
Si giunge al di fuori del negativo estromettendolo dalla dialettica,  non concedendogli il contrario del positivo e quindi uscendo fuori dal senso del lavoro, passando da una “economia ristretta” a una “economia generale”, nell’accezione che ne trae Jacques Derrida nel testo dal titolo omonimo (Dall’economia ristretta a un’economia generale. Un hegelismo senza riserve). È in quest’opera che Derrida parla di un “laceramento spasmodico del negativo”, come modo per giungere a un negativo senza riserve.
  
 
   Il sovrano è colui che vive l’esperienza interiore come uno scavo profondo nel negativo in pura perdita, dove vediamo avvenire una “riduzione del senso”. Si resta sì nel negativo, senza però passare attraverso quella che Hegel chiama la Aufhebung. Si rinuncia (restando poggiati al riso) al traguardo di una qualsivoglia totalità.
 
  
   Nella prima pagina della seconda parte de L’esperienza interiore, intitolata Il supplizio, si legge: “vivo di esperienza sensibile e non di spiegazione logica. Ho del divino un’esperienza così folle che si riderà di me se ne parlo”12.
   Il supplizio è quella condizione (l’unica) in cui è possibile fare esperienza del divino, ed è quella in cui nulla è possibile. È il momento in cui è possibile “trasformare l’angoscia in delizia”; è lì che inizia quella che Bataille chiama la Chance.
   La supplica è per Bataille condizione umana imprescindibile. Passando di possibile in possibile si arriva infine a eludere il senso dell’io. Inizia l’esperienza, che non sarà mai possibile raccontare. È a tale proposito che Bataille adopera la figura allegorica del labirinto. Egli parte dalla constatazione che alla base di ogni vita umana esista un “principio di insufficienza”: ciascuno ricerca l’essere, ma questo non lo si può incontrare da nessuna parte. Non è possibile pensare di poter racchiudere qualcosa, perché per Bataille l’unica cosa che possiamo trovare è l’insufficienza stessa. Dunque l’esperienza in sé viene vista come un esercizio filosofico vero e proprio, al quale non è possibile arrestarsi davanti a qualsivoglia tempio conoscitivo, ma piuttosto si presenta come una perenne fuga.
 
   Se Bataille va considerato come una sorta di hegeliano e insieme al contempo un “anti-hegeliano”, bisogna tutt’al più non dimenticare quella che egli definiva come una comunione con Nietzsche, nel quale egli vede non un semplice ateo, demolitore della dottrina cristiana, ma più propriamente un sacrificatore. Il filosofo che esaltava il dionisiaco, viene preso come esempio per spiegare quell’idea di sacrificio secondo la quale si accede al sacro solo con l’uscita fuori dal piano del trascendente, per arrivare alla fusione con quella totalità originaria propria dell’indistinto.

Luca Atzori

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