domenica 20 novembre 2011

(E?) OVVERO DELL'E(S)SENZA - recensione dello spettacolo (studio) di Amalia de Bernardis


regia,drammaturgia,cura della visione Amalia De Bernardis
suggestioni e montaggio video Damiano Monaco
suggestioni musicali Pierpaolo Laustino
con Pierpaolo Laustino, Claudia Giacosa, Amalia De Bernardis

Venerdì 18 Novembre 2011 - Magazzini sul po



Sono convinto che scrivere qualsiasi cosa a proposito di uno spettacolo come quello di Amalia de Bernardis, sia del tutto insensato, perché apporterebbe con sé un certo parallelismo di senso, quindi inutile (dal mio punto di vista).
Intendo dire che a mio parere, in “e ovvero dell'essenza”non c'è niente di oggettivo da capire (ovviamente dal mio punto di vista personale e soggettivo).
La mia mente non ama fare sforzi. Non li fa non perché sia pigra, ma perché soprattutto quando si pone nella posizione dello spettatore, chiede come minimo sindacale di essere trattata come regina, superbamente lo chiede, certo. Ma è così, ecco.
Posso dire che cosa io da spettatore ho pensato vedendo questo spettacolo.
Non so se ho personalmente del teatro una concezione chiara. Non credo che nessuno ce l'abbia. Qualora ci si sieda a teatro però credo che sia fondamentale che allo spettatore non venga richiesto nessuno sforzo intellettuale. A teatro non esiste miopia. O vedi, o non vedi.
C'è qualcosa di simile alla pornografia. Vedere e basta.
Non importa con quali occhi, ma l'importante è vedere.
Ci si siede e ci si aspetta di vedere succedere qualcosa. Creare uno strappo su quella che è la stanza segreta dell'artista, ma resa pubblica, senza che ci sia di intorno un qualche residuo di ego, o qualche intenzione recondita.
Non credo, personalmente, nel teatro del sottointeso.
Procedere con la ridondanza dell'elemento scenico comperato dal macellaio. Il video che occupa mezza stanza e che riporta “per metafora” le interiora dello spettatore. Sentire sussurrate parole che si è costretti a rinunciare ad ascoltare sin da principio. Tutto questo genera un sottile senso di stizza.
Perché quel che ho visto è stato un coacervo di materia. Tanti movimenti, tanta simbologia violata. Tanta attenzione richiesta, sin da farla naufragare l' attenzione.
Naufragare corale degli spettatori.
Ma l'organicità era insufficiente. Non si è fatto davvero il salto dal quale non si torna indietro. Tanta fascinazione. Movimenti illusori. Tanta materia, quindi anche essa illusoria. Tutto troppo spezzato. Tutto troppo ingombrante. Sgrammaticato, si, volutamente. Ma tutto troppo intenzionale. Tutto forse sembrava dire “questo è quel che penso io”. Tutto troppo sotto-inteso. Desiderio di vomitare qualcosa, ma un vomito trattenuto, troppo trattenuto.

Indubbio dire che l'idea (per quel che ho intuito) fosse geniale nella sua ambizione. Interessante sicuramente il percorso.

Ma che cosa deve fare il teatro? Deve trasmettere? Deve parlare ancora di sé? Che cosa può dire il teatro di sé?

Amalia de Bernardis sa benissimo che procedere con la risoluzione dei vari linguaggi artistici è pressoché inutile. Amalia parla dell'urgenza, del contenuto, del genio a discapito del talento.
Posso dire, da spettatore occasionale e sincero, che ho visto durante quello spazio di tempo (che non iniziava e non finiva) crescere la mia testa e farsi un pallone.
La mia è l'opinione di uno spettatore stupidissimo. Perché io a teatro divento stupido come un insetto. Stupido come un bambino o un folle. Un folle che chiede di essere distratto dai suoi deliri e che ne chiede di nuovi.
Io non voglio leggere le spiegazioni di niente. Io voglio vedere.
E sta volta non ho visto né sentito niente. Forse era quello che ci si aspettava. Forse anche le nostre valutazioni cambiano in base al tempo, in base a come ci si siede, e come ci si sente. Forse è anche questo il bello del teatro. Mi sono sentito seduto e osservante eccetera eccetera...

Luca Atzori (nei panni dello spettatore stupidissimo)

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