lunedì 21 giugno 2010

NESSUNO

“Nessuno ci impasta più di terra e argilla
nessuno alita sulla nostra polvere.
Nessuno.
Lodato sii tu, Nessuno.
Per amor tuo vogliamo
fiorire.
Incontro
a te.
Un nulla eravamo, siamo, rimarremo, fiorendo:
la rosa di
Nulla, di Nessuno...”

Questo è l'inizio di una poesia di Celan che porta come titolo “Salmo”. Una vera e propria preghiera.
Voce della religiosità più atea di chi arriva a rivolgersi a Nessuno.
La zona dove incontriamo Dio è quella della trascendenza, intesa come la pura forma di oggettivazione, distinzione, separatezza, ineluttabile scoglio di ogni atto conoscitivo.

Le parole e nient'altro. Il sacro è perciò immanente, come ciò che resta, inutile e vivo.
Di ciò che è immanente non si parla.

Quel Nessuno (importante la maiuscola) che viene nominato, è proprio il modo in cui disperatamente si chiama l'ignoto, che non siamo mai noi a trovare, ma che viene incontro a noi stessi chiamandoci in limine, facendosi vivo come inframezzo.
Noi (non) siamo nessuno, e incontro a quel nessuno, fioriamo.
Nati senza nome, (dove) niente ha nome, (dove) finiamo senza nome.

Preghiera atea, anche se fare uso di questa parola è di per sé sbagliato, perché ciò che viene a mancare non è il concetto di Dio, ma piuttosto bisogna considerare che ciò che resta in realtà sono solo le stesse parole, nel paradosso di cui è impossibile dare definizione.
Distanti dalla parola che implode in se stessa, manifestatasi come compiuta, mostrante solo se stessa, e dunque donante voce a quel Nessuno che è inascoltabile, inconoscibile, indicibile (seppure venga paradossalmente nominato).

Il “nulla” è tutta la sovrabbondanza di questo mondo.
L'essere umano è un lusso di cui la terra può fare a meno.

Luca Atzori

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