sabato 5 giugno 2010

INTERVISTA A GIANNI CULATORIA


Di Luca Atzori

Questa è un' intervista che feci all’autore de Il Pozzo e lo Specchio, Gianni Culatoria, l’anno scorso, non appena l’opera nasceva.

L.Il pozzo e lo specchio: potrebbe spiegarci più precisamente il perché di questo titolo?

G Più precisamente non c'è da dire alcunché, ma piuttosto (più semplicemente) è il nome che io dono a quest’opera, la quale di per sé non ha alcun significato specifico, ma che ha semmai un valore che di certo non risiede ne nella carta e ne tantomeno nelle lettere o nei versi. Il valore di quest’opera risiede nel fatto stesso che esista. La sua quidditas, potremmo definirla.

L. Vuole intendere una sorta di macchina autopoietica nel senso in cui potrebbero essere intese opere d’arte come il grande vetro di Duchamp e affini, negli studi svolti da Varela e Maturana?

G, No non intendo questo, o perlomeno il mio interesse non era affatto quello di scrivere un’opera poetica che avesse “funzione autopoietica”, come lei ha voluto definirla. No, io ho voluto scrivere quest’opera perché in essa venisse rinchiuso finalmente un nuovo mito.

L. E’ possibile pensare a nuovi miti? I miti dovrebbero essere visti come qualcosa di eterno.

G. Ciò non esclude che fra questi ce ne possano essere anche di nuovi. C’è da considerare che il mito inizia nel momento in cui si racconta. Che poi la sua morphé sia eterna quello è un altro discorso.

L. Non sono affatto d'accordo. In ogni caso, qual è il mito di cui lei tratta?

G. Il mito dello specchio e del pozzo. Un pazzo andava in una stanza di specchi con uno speculum in mano (notare il giochino di parole) cercando di sentire i battiti cardiaci che provenivano dai riflessi sulle pareti. Ovviamente non sentiva mai nulla. Lo stupore maggiore gli viene quando si rende conto che nemmeno il suo cuore batte più. E da lì comincia a riflettersi in lui il pozzo che sta in mezzo alla stanza dentro il quale affonda, nel fondo del quale la sua coscienza precipitata risiede. Una volta uscito ritornerà sempre nella stanza degli specchi, ma consapevole e gioioso, tornerà fra gli specchi delle pareti a rimirarli mutando la realtà stessa grazie al grande dono riconquistato, ovvero quello dell’autocoscienza

L. Qual è il senso di questo racconto?

G. Questo racconto non ha un senso specifico. È l’allegoria vivente di un’esistenza.

L. Quella dell’autore?

G. Quella del poeta, più precisamente. L’autore è colui che narra, ma esiste solo più nel testo. Chi esiste nella vita è il poeta.

L. Anche se il mestiere di poeta non si può dire certo che esista al giorno d’oggi.

G. Non esiste perché non è mai esistito. Quello del poeta non è un mestiere, ma bensì un carattere, come la timidezza, l’estroversione, la melanconia etc. Lungi da me avere un mestiere, sono troppo buono per permettermelo. Mi è troppo stretto l'inferno.

L. Ma è anche un’abilità.

G. Appunto. Chi è poeta lo è perché quello è il suo carattere. Il carattere di una persona la cui vita sfiora qualsiasi evento. L’abilità sta tutta nella peculiarità di non dire mai nulla di definitivo, di chi dunque si trova costretto a usare un linguaggio differente da quello comunemente adoperato. Il poeta è fatto di linguaggio, è questo il suo carattere. Sono rari da trovare i poeti, questo è vero, ma semplicemente perché non è un carattere diffuso.

L. Il poeta è fatto di linguaggio.

G. Il poeta è impoetico. Il poeta di certo porta un altro luogo nei luoghi, e non solo, il poeta è sempre in un altro luogo rispetto ai luoghi. Il poeta proprio perché è l’esistenza stessa incarnata, non può che apparire e comunicare come fa. Il luogo del poeta è il vero luogo, il quale è sempre un non luogo, perché non è possibile mai essere posati su alcunché.

L. Esistenza incarnata?

G. Esatto.

L.Heideggeriano?

G. Non direi. Piuttosto preferirei dire che sono in attesa di una rinascita a livello totale. Che gli uomini siano individui e contemporaneamente veri centri di forza. Ma qui non vorrei giungere a parlare del sacro, ne tantomeno vorrei riabbracciare Leibniz e la monadologia. Io non voglio interessarmi al sacro, ne tantomeno all’uomo o alla verità.

L. Che cosa dunque suscita il suo interesse?

G. La donna, esclusivamente la donna. Quel che la donna non riuscirà mai a dire di se stessa.

L. Risposta alquanto bizzarra.

G. E possibilmente mi interessano anche le piazze pulite.

L. Forse lei si riferisce al tono lievemente scabroso di certi suoi versi.

G. Io ho detto che mi interessa la donna. Quindi si, esattamente come lei ha detto. E adesso per favore basta.

L. La ringrazio profondamente.

G. Il piacere è stato tutto mio, solo mio.

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