domenica 4 luglio 2010

LE EMOZIONI A CARO PREZZO

« L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. »

Italo Calvino


Quegli stati d'animo che vengono comunemente definiti come angoscia, depressione, disperazione etc, sono in realtà nientemeno che lussi.
Siamo comunemente abituati a pensare che qualora ci si trovi di fronte alla minaccia di un'emozione che riteniamo essere impossibile da gestire, si debba cercare rimedio nella soppressione di quello stato d'animo attraverso le narcosi, le consulenze psicologiche con un seguito di prescrizione farmacologica, o nel caso in cui ciò non avvenga, trovarsi sbattuti sul proprio letto a contemplare il soffitto, emanando gemiti primordiali, o degenerando in altri svariati comportamenti bizzarri (spesso miranti all'autodistruzione, con allegata consolazione).
Spesso non siamo in grado di sostenere nemmeno i rapporti di coppia per questo preciso motivo, ovvero perché troppe emozioni si stanno per affacciare, cosìcché le si deve soffocare il prima possibile precipitando in dinamiche di prevaricazione dell'uno sull'altro, in una gara a chi vince il trofeo del “non sofferente”.

Qualcuno ci ha detto (e non si ricorda mai chi e quando) che lo stare da soli è una faccenda terrorizzante.

Si ha paura di un “problema”, e piuttosto che affrontarlo si decide di tapparlo, dimenticarsene.
Quell'ectoplasma che abbiamo chiamato "problema", invece , è proprio la sorgente di quella serie di riflessioni che dovrebbero portare il nostro stesso sistema emotivo a circolare per giungere (attenzione) non all'incontro di una risposta, (la quale di per sé è proprio ciò da cui si dovrebbe invece fuggire) ma piuttosto alla fabbricazione costante di interrogativi.
Queste emozioni (che non a caso ho voluto definire come lussi) costano troppo, e non lo intendo in senso lato.
Siamo abituati a dovere avere il controllo su mille faccende che risultano servirci principalmente per arrivare vivi alla fine del mese. Nel caso in cui questo eccesso di “sensi” dovesse presentarsi, bisognerà rimediarvi immediatamente, per fuggire al rischio di "APPARIRE" come un disgraziato.

Accade che questi problemi vengano celati spesso nei rapporti interpersonali, dove ci si trova costretti a mostrare di sé quel fantoccio che abbiamo disegnato e che ci permette una sicura uscita da quel grande scoglio che è il GIUDIZIO.
Per non parlare poi di quella favola che ci raccontiamo prima di andare a dormire, che dice pressapoco così: sono gli altri ad essere cattivi, io sono vittima del cinismo etc etc.
Già, e così ci si siede beatamente sulla poltrona della propria infelicità. Una poltrona che non ci rendiamo conto, ma lentamente ci porta a sprofondare in un processo che ha un solo nome: la degenerazione.
E poi ci si convince che siano milioni di licenziosità a donarci quella gioia che cercavamo. Una nottata trascorsa ad annegare nell'alcool, o fare sesso con sconosciuti dentro il bagno del primo locale tappezzato dei ritmi tribali di quel divertissement che ha raccattato noi (e non viceversa), per poi il giorno svegliarsi con il mal di testa, il senso di colpa, e via dicendo.
Questo risulta essere uno dei modelli di vita del vivere “figo” nella nostra attuale atmosfera di affascinantissima decadenza e barbarie.

Affrontare la tua paura? Ma se non se ne ha nemmeno il tempo!
Anzi, il tempo? si perda. Ci si perda!
Spesso non si accetta che quel problema stesso esista. Perché nel famigerato gruppo, non si può pensare di inseririsi con questo fardello addosso, ma si deve piuttosto recitare alla maniera di Diderot (vedere il paradosso dell'attore).

Convinti di essere quel che appariamo a noi stessi. Convinti di essere il proprio io.
La radice di questo problema va certamente assegnata a una struttura economica. Anche se bisogna prestare attenzione al fatto che sono le nostre mani a fare l'economia, e non i nostri sogni.

Tutto è precario, assaggiato, e mai (anzi guai) vissuto fino in fondo.
È vietato vivere troppo, e per ciò stesso, di conseguenza, soffrire.

Che fare?

Forse unire quei due grandi lussi che sono la testa e il cuore per prendersi un po' di spazio? Massacrare se stessi con infinito amore?
Farsi il culo? Alzare le tapparelle?
Andare a sbandare contro la morte, implorando di vivere?
? ? ? ? ?

Luca Atzori

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