sabato 30 ottobre 2010

QUARTO DISCORSO DELL'ANTIUMANESIMO: L'INVIDIA

“Forse solo chi vuole s'infinita.” Montale


L'invidia è certamente uno dei sentimenti più filosofici che esistano.
Essa può essere costruttiva o distruttiva.

Nel secondo caso non si parla più di filosofia, ma più semplicemente di un sentimento mediocre che esteso a livelli più ampi diventa il carburante di quella porcheria che siamo soliti definire politica.
E' il caso di chi non potendo ottenere ciò che vorrebbe, decide di distruggerlo, in maniera da non essere più costretto a sopportarne il peso del desiderio. Restando alla politica possiamo prendere come esempio il rivoluzionario (di Destra, come di Sinistra) che non contento dello stato di cose in cui vive decide di cancellarlo per metterne in atto uno diverso ma identico, conservando per ciò stesso la verità triste e paradossale da cui si è eternamente partiti.

Nel primo caso, si prende invece in considerazione il motore che porta a muoversi verso la conoscenza.
Se Aristotele diceva che la meraviglia genera desiderio di conoscenza, l'invidia è il carro sopra il quale ci si muove per arrivarci.
Desiderare, in questo caso, implica uno sforzo diretto innanzitutto al cambiamento, al mutamento di sé. Un allontanamento necessario, seguito però da puntuale ritorno.

Il filosofo è un figliol prodigo.

L'unico cambiamento che possa avvenire a livello sociale può essere effettuato su un piano ontologico.
Il punto è che invidiare costruttivamente non è semplice. Qualora si viva in un sistema che decide quel che si deve volere, l'oggetto d'invidia diventa lì fasullo, proprio perché sprovvisto di alcuna attinenza con quelle che sono le esigenze reali dell'individuo.

È necessario dunque che questo individuo diventi prima che emancipato, innanzitutto responsabile.
Qualora non avvenga invece alcun mutamento ontologico, si finisce per trovarsi davanti a parole e propositi ruotanti intorno a se stessi. Una presa di partito legata strettamente a questioni razionali e non reali, che possono spesso illuderci di indossare un'identità irrespirabile.
Si genera così più spesso il fenomeno della confusione del singolo con una massa priva di orientamento esistenziale, più simile a un gregge dove ciascuno cerca di occupare spazi ridotti e lo fa aggredendo chi gli sta accanto, nel tentativo disperato di giungere al possesso del verbo “primeggiare”.
Facendo questo vanno restringendosi lo spazio così come il tempo.

L'esistenza che dovrebbe seguire tale percorso legato sottilmente all'esperienza, più spesso rimane associata alle esigenze del breve consumo.
Ma questa è una faccenda che riguarda la massa, e a noi non interessa.
Ciò che dovrebbe riguardare ciascuno più da vicino, è piuttosto il conseguimento di una conoscenza che possa rendere possibile un miglioramento non solo a livello formale, ma anche reale.
Questo non è possibile però maturando sentimenti di odio, legati a tentazioni pigre e distruttive, rivendicatrici di quel complesso di difetti che costituiscono l'origine dei malesseri vari.

Detto ciò è necessario, ovviamente, andare in contrasto con il normale atto di sopravvalutazione che viene fatto nei confronti dell'avere a discapito dell'essere.
Il punto è che non c'è nessuno a cui si debba dimostrare nulla, e che, piuttosto, dal momento che la condizione umana insegna che la vita si muove sopra la parete colma di niente che è la libertà, e che non vi è altra sovrana oltre che la morte, tanto vale vivere ascoltando la voce che ci sussurra il nostro compito, senza ricercare consenso, ma facendolo per puro amore (posto al di là), eliminando l'illusione di cambiare un mondo che non esiste se non dentro noi stessi.

Il resto sono bugie, e le lasciamo agli altri invidiosi (coloro i quali credono).

Luca Atzori

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