venerdì 16 dicembre 2011


ANIMA MIA CHE METTI LE ALI

Intervista a Silvia Lorenzo



di Luca Atzori





Ho visto al San Pietro in vincoli, uno spettacolo intitolato “Anima mia che metti le ali” che mi ha colpito profondamente. Tematica interessante riportata con una forte magia (aiutata dalla suggestione del luogo in cui è stato rappresentato). Mi ha colpito la cura nel dettaglio che l'attrice ha dimostrato, la profondità, lo scavo, l'atmosfera vivida nel suo essere altresì oscura.
L'attrice (che in questo caso meglio sarebbe definire come artista) è Silvia Lorenzo. La sua formazione (professionale) iniziata con Domenico Castaldo, è di stampo Grotowskiano. Ha poi approfondito lo studio del canto, della danza etc fino a sviluppare un suo metodo personale.
L'ho incontrata in un bar di Torino e abbiamo scambiato quattro chiacchiere.






In questo periodo stai facendo girare il tuo spettacolo “Anima mia che metti le ali”. Puoi parlarmene? Dirmi come è nato, di che cosa tratta, perché è nato etc...
Questo spettacolo è nato perché io ero alla ricerca di una storia che avesse come protagonista una donna fuori dal comune. Una donna ricca di frizioni interiori. Una donna sì forte, ma al contempo piena di paure.
Ho cercato questa donna fra i personaggi del teatro, ma non sono rimasta pienamente soddisfatta. Così, prendendo spunto dalla mia passione per la psicoanalisi, sono arrivata al personaggio di Sabina Spielrein. Un mio amico mi ha consigliato di leggere un suo libro e ho scoperto una certa affinità, mi sono sentita accordata con i suoi desideri, le sue emozioni, la sua personalità. Solo lei era andata più a fondo, è diventata folle.
Così ho raggruppato alcune sue lettere e ho iniziato a progettare uno spettacolo che fosse basato su di esse. Ho contattato diversi registi che potessero essermi di aiuto, ma ho poi deciso di fare da sola. In realtà una persona mi ha dato una mano, Thimoty Keller, il quale ha drammatizzato il testo.

Qual è stato il processo di preparazione dello spettacolo?
Ho raccolto le lettere e le ho trasferite sulla scena. Ho attraversato una fase iniziale di creazione, fatta di improvvisazioni e scrittura scenica. Per ogni scena c'era un quadro e un buio. Ad ogni momento ho fatto corrispondere un'immagine.
Quando lo spettacolo era “pronto” gli mancava però una cosa fondamentale, ovvero una regia. Così ho chiesto aiuto a un regista polacco Prsemek Wasillikovski.

Che tipo di lavoro avete svolto insieme?
Premettendo che seguo un tipo di training di stampo grotowskiano, portando avanti un metodo che ho sviluppato io personalmente, al fine di preparare il corpo ad essere vivo in ogni minima parte e dettaglio, ho approfondito con lui tutta la sfera che riguardava il personaggio, l'esplorazione nel profondo, insomma un percorso di stile Stanislavskiano. Ho lavorato contemporaneamente sul personaggio e su me stessa.

Il tuo spettacolo è anche intriso di vocalità
Per me l'uso della voce è molto importante. Ho studiato con diversi cantanti, durante la mia formazione. Ho poi iniziato a esplorare la “voce del corpo”, ovvero la voce come conseguenza di un movimento fisico, sempre connessa al tipo di lavoro che ho sempre svolto.

Perché hai deciso di fare questo spettacolo?
Perché volevo esplorare la mia interiorità. Avvicinarmi a un testo psicoanalitico e insieme a una donna psicoanalista e insieme folle, mi ha permesso di lavorare in maniera approfondita sia su me stessa che su me come attrice.


Questo spettacolo avrà prossimi sviluppi?
Prossimamente andrò a Bologna e ci lavorerò con un regista, al fine di limarlo. È uno spettacolo in crescita e voglio farlo girare ancora, lo farei girare ancora per anni e anni. Sarà un modo per plasmare una mia opera e insieme me stessa.

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