martedì 27 luglio 2010

LA PANCIA

La forza di gravità è il Diavolo. (E io , Blu di prussia, il suo profeta. Un po' di spazio per il mio rancore, se non vi dispiace). Ennio Flaiano.


Si dice spesso che la verità non esista. Non si considera però quanto questa affermazione preveda l'esito di un precipizio paradossale, quello di chi sostenendo l'inesistenza di verità dichiara con questo una verità assoluta.
Il punto è che di per sé parlare della verità (secondo criteri logici) è sempre un paradosso. Dire che una cosa è vera, spesso non esclude che anche il suo contrario sia tale.
Questa è una questione che riguarda tutto il repertorio delle cosiddette “cazzate” che spesso accompagnano i nostri momenti di difficoltà dove ci sembra di essere entrati dentro impasse varie.
Tutto ciò riguarda una evidente sopravvalutazione della ragione, ciò che Derrida avrebbe definito come logocentrismo.

La verità è una questione di pancia.

Noi siamo i nostri desideri, ma ahimè, siamo abituati a non prestarvi attenzione. Non siamo educati a farlo. Agiti dalle nostre emozioni, come se da esse non potessimo trarre nulla, come fossero per noi un pericolo, impauriti come davanti alle sirene del dodicesimo canto.

In fondo, nel mondo vi è pace ovunque, anche nel più enorme frastuono.
Siamo abituati ad ascoltare le vocine che ci parlano nella testa, tutte in contraddizione l'una con l'altra. Siamo come palazzi abitati da un centinaio di inquilini che non vanno mai d'accordo l'uno con l'altro, e che continuano a lamentarsi con l'amministratore di condominio che siamo poi noi stessi.

Noi siamo gli inquilini del piano terra.

La pancia ci dice quel che desideriamo, quel che è giusto per noi. Ci dice quel che ci interessa, ci dice che cosa ci fa star bene o male. La pancia ci parla con le emozioni, e queste sono i nostri giudici assoluti.
Molto spesso siamo costretti addirittura a divertirci. Entrare nel suolo di possibilità assegnate, e tutte in contrasto con quello che la pancia grida dietro al bavaglio.
Certo, la vita è una cosa molto più semplice. Basta capire che ciascuno di noi lascia manifestare da sé la verità con la dichiarazione dei propri desideri.

Non tiratemi in ballo le verità scientifiche, per favore: nel regno della ragione esistono solo le ipotesi, e son sempre rigorosamente vere.

Già, e quando si voglia affrontare un discorso che accenda una lanterna sopra il desiderio, finire con un “non so, discorso complesso”, quando in realtà il problema è che spesso basterebbero due, tre, una sola parola.

Se le verità logiche sono di troppo, la verità ha da essere essere usa e getta, per essere vera.

Luca Atzori

mercoledì 14 luglio 2010

L'ARTE DI SOGNARE


Il ventisette giugno si è tenuta, presso l'Alcatraz murazzi, una rassegna organizzata dall'associazione culturale Torino Teatro di Alan Mauro Vai, presentata come L'Arte di Sognare.
Più precisamente si è trattato di una festa avvenuta in onore della neonata compagnia Eidos Teatro che raccoglie artisti di ogni genere: da autori a attori, musicisti, pittori, fotografi, editori etc.
Il leitmotiv dell'evento è stato senza dubbio (come si può facilmente intuire) quello del sogno inteso in ogni sua accezione (desiderio, vita onirica etc). Si può dire che tutto l'evento abbia utilizzato questo tema come una finestra aperta per illuminare la realtà di una sera.
Tutto ha avuto inizio con una mostra dove sono state esposte le opere della scenografa Delia Colanino, la stilista Samanta Lai, l'artista Babalushi e il fotografo che si fa chiamare Musicante Alchemico. Sia Delia Colanino che Musicante Alchemico hanno partecipato (ciascuno secondo le proprie competenze) alla realizzazione dello spettacolo Modestia a Parte, scritto da me, diretto da Alan Mauro Vai e recitato da Ilaria Aseglio Gianinet, avvenuto dopo (e seguito da) altri diversi spettacoli e performance che sono stati:
la presentazione della Casa Editrice Eris, la presentazione del testo di Cheik Ngoma Bayefall Il Silenzio degli Dei, lo spettacolo Mac Beck di Alan realizzato con gli allievi di uno dei numerosi laboratori che svolge a Torino, lo spettacolo Marco Fratta Reading Project di Marco Fratta con letture a cura di Vincenzo Di Federico e Alan, la performance di decorazione fluo di abiti dal vivo di Samanta Lai e seguito dallo spettacolo di Giulia Donelli “Non è come sembra” con Cristina Costigliola e I viaggi del mulo di CJ Emulo.



La spontaneità con cui è avvenuta la collaborazione ha certamente accresciuto e reso vivida quella necessità comunitaria che in maniera sempre più urgente si avverte nella nostra realtà artistica nazionale.
Si dice che per gli artisti sia un periodo sfavorevole (non si sa bene se sia esistito un tempo in cui la situazione fosse andata diversamente) così invece di annegare nelle solite lamentele si è pensato di dare voce proprio e in particolare a quei sogni e desideri che son stati raggruppati insieme all'aiuto di menti e vite diverse in un'esperienza di gruppo .
L' evento ha ruotato certamente intorno al tessuto della serata stessa, avvenuta (pare non a caso) in un locale notturno. Diversi spettacoli, mostre e performance, sono riusciti a riunire le persone in un vero e proprio rito dove lo svago ha acquistato un senso vero e proprio.
Ci si trova spesso a vagare per locali senza sapere perché ci si sia finiti, così che si rischia abitualmente di cadere in routinarie ubriachezze e si va a far sbandare le proprie motivazioni verso non si sa dove, a meno che non ci sia un concerto o un altro tipo di evento che giustifichi lo spostamento.
In questo caso si è voluto raccogliere le persone e fare in modo che una serata potesse far fare loro qualcosa che potersi raccontare.
Invece di costringerci a fingere, mascherarci e mostrare di noi stessi un volto che spesso ci costringiamo a vestire, abbiamo voluto far parlare la nostra vita stessa, i nostri talenti, si è cercato di far parlare il nostro passato per fargli dire ad alta voce quale sarà il futuro che preferirà incontrare. Per questo è avvenuto tutto ciò. Il titolo tratto da un libro di Carlos Castaneda intitolato appunto L'arte di sognare, dove si raccontava di un'esperienza vissuta dallo stesso scrittore avente come centro l'iniziazione sciamanica. Il teatro è in effetti una forma di sciamanesimo. Prima di tutto è terapia, messa in mostra di quel che normalmente siamo costretti a nascondere dando voce ciascuno al proprio demone.
Se qualcuno ritiene che il teatro sia una forma d'arte imbalsamata, posso ritenere che di certo non si possa dire lo stesso per quel che riguarda quel rito che è l'incontrarsi, mettersi attorno a un fuoco e raccontarsi delle storie.


Luca Atzori

domenica 4 luglio 2010

LE EMOZIONI A CARO PREZZO

« L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. »

Italo Calvino


Quegli stati d'animo che vengono comunemente definiti come angoscia, depressione, disperazione etc, sono in realtà nientemeno che lussi.
Siamo comunemente abituati a pensare che qualora ci si trovi di fronte alla minaccia di un'emozione che riteniamo essere impossibile da gestire, si debba cercare rimedio nella soppressione di quello stato d'animo attraverso le narcosi, le consulenze psicologiche con un seguito di prescrizione farmacologica, o nel caso in cui ciò non avvenga, trovarsi sbattuti sul proprio letto a contemplare il soffitto, emanando gemiti primordiali, o degenerando in altri svariati comportamenti bizzarri (spesso miranti all'autodistruzione, con allegata consolazione).
Spesso non siamo in grado di sostenere nemmeno i rapporti di coppia per questo preciso motivo, ovvero perché troppe emozioni si stanno per affacciare, cosìcché le si deve soffocare il prima possibile precipitando in dinamiche di prevaricazione dell'uno sull'altro, in una gara a chi vince il trofeo del “non sofferente”.

Qualcuno ci ha detto (e non si ricorda mai chi e quando) che lo stare da soli è una faccenda terrorizzante.

Si ha paura di un “problema”, e piuttosto che affrontarlo si decide di tapparlo, dimenticarsene.
Quell'ectoplasma che abbiamo chiamato "problema", invece , è proprio la sorgente di quella serie di riflessioni che dovrebbero portare il nostro stesso sistema emotivo a circolare per giungere (attenzione) non all'incontro di una risposta, (la quale di per sé è proprio ciò da cui si dovrebbe invece fuggire) ma piuttosto alla fabbricazione costante di interrogativi.
Queste emozioni (che non a caso ho voluto definire come lussi) costano troppo, e non lo intendo in senso lato.
Siamo abituati a dovere avere il controllo su mille faccende che risultano servirci principalmente per arrivare vivi alla fine del mese. Nel caso in cui questo eccesso di “sensi” dovesse presentarsi, bisognerà rimediarvi immediatamente, per fuggire al rischio di "APPARIRE" come un disgraziato.

Accade che questi problemi vengano celati spesso nei rapporti interpersonali, dove ci si trova costretti a mostrare di sé quel fantoccio che abbiamo disegnato e che ci permette una sicura uscita da quel grande scoglio che è il GIUDIZIO.
Per non parlare poi di quella favola che ci raccontiamo prima di andare a dormire, che dice pressapoco così: sono gli altri ad essere cattivi, io sono vittima del cinismo etc etc.
Già, e così ci si siede beatamente sulla poltrona della propria infelicità. Una poltrona che non ci rendiamo conto, ma lentamente ci porta a sprofondare in un processo che ha un solo nome: la degenerazione.
E poi ci si convince che siano milioni di licenziosità a donarci quella gioia che cercavamo. Una nottata trascorsa ad annegare nell'alcool, o fare sesso con sconosciuti dentro il bagno del primo locale tappezzato dei ritmi tribali di quel divertissement che ha raccattato noi (e non viceversa), per poi il giorno svegliarsi con il mal di testa, il senso di colpa, e via dicendo.
Questo risulta essere uno dei modelli di vita del vivere “figo” nella nostra attuale atmosfera di affascinantissima decadenza e barbarie.

Affrontare la tua paura? Ma se non se ne ha nemmeno il tempo!
Anzi, il tempo? si perda. Ci si perda!
Spesso non si accetta che quel problema stesso esista. Perché nel famigerato gruppo, non si può pensare di inseririsi con questo fardello addosso, ma si deve piuttosto recitare alla maniera di Diderot (vedere il paradosso dell'attore).

Convinti di essere quel che appariamo a noi stessi. Convinti di essere il proprio io.
La radice di questo problema va certamente assegnata a una struttura economica. Anche se bisogna prestare attenzione al fatto che sono le nostre mani a fare l'economia, e non i nostri sogni.

Tutto è precario, assaggiato, e mai (anzi guai) vissuto fino in fondo.
È vietato vivere troppo, e per ciò stesso, di conseguenza, soffrire.

Che fare?

Forse unire quei due grandi lussi che sono la testa e il cuore per prendersi un po' di spazio? Massacrare se stessi con infinito amore?
Farsi il culo? Alzare le tapparelle?
Andare a sbandare contro la morte, implorando di vivere?
? ? ? ? ?

Luca Atzori