mercoledì 11 agosto 2010

TERZO DISCORSO DELL'ANTIUMANESIMO: L'INTELLETTUALE

E' vero che usare la parola “intellettuale” è di per sé scorretto, e intellettualmente disonesto.
L' origine dell'uso di questo termine, va riscontrata nell'illuminismo, quando si pensava che fosse plausibile l'esistenza di un personaggio che avesse come mestiere quello di occuparsi di problemi sociali, politici, e che nel mentre si mettesse a scrivere romanzi o trattati.

Inventare storie di fantasia, o elaborare grandi edifici filosofici, come occuparsi di criticare le opere, o distruggere e far precipitare quelle stesse costruzioni filosofiche di cui sopra, non ha niente a che vedere con l'interessarsi di problemi che abbiano natura sociale.
L'"intellettuale vero", non solo non ha questo compito, ma semmai sa bene che non ne esiste nemmeno l'ombra di un' esigenza, da nessuna parte.
Occuparsi di politica e altre varie faccende, approcciandovisi come se fossero composte di fatti dotati di una certa realtà, è di per sé una follia. Quello che viene definito “intellettuale”, sa benissimo che quando si affrontano certi temi che abbiano in sé contenuto che si voglia dire utile, sta parlando di cose assolutamente false, narrazioni belle e buone, che a differenza della letteratura, della filosofia (quella più seria), e dell'arte in genere, crede arrogantemente di possedere una realtà concreta di base.

E' certo che invece è molto più corretto occuparsi di lettere, perché sin da principio si sa che non saranno mai nient'altro che parole, e che quindi solo attraverso l'analisi di quello strumento e della sua insita falsità si potrà sopraggiungere a un giudizio lucido (forse anche sul “mondo”, che poi bisogna capire bene ancora che cosa sia).

È come se l' “intellettuale” solo perché “conosce la grammatica” si possa occupare di alcune faccende che non sono in realtà competenza di nessuno (se non dei matti).
Questo avviene non a caso! già, perché sono gli uomini di lettere e di pensiero i maggiori esperti nelle arti della narrazione e dell'argomentazione, quindi gli unici a poter donare una vocina che sia degna di quella pretesa “serietà” richiesta in certi campi. E ma si occupano di fesserie. Come se da un giorno all'altro facessimo credere a un'intera nazione di vivere dentro il “Grande Gatsby” o i “Promessi sposi”.

La realtà in cui viviamo è evidentemente una realtà fittizia, una storia (per non parlare della Storia stessa).

Le persone invece di affidarsi a un governo, dovrebbero imparare a gestire la propria vita senza l'aiuto di nessuno (ma questo è un altro discorso).

Come è triste vedere che esistono ancora categorie di persone che dopo aver pubblicato i loro romanzi o i loro scritti filosofici vanno in parlamento a contribuire alla produzione di quell'accozzaglia di stupidaggini che gli italiani si bevono come fossero l'elisir di lunga vita.

Per non parlare di quegli “intellettuali” che scrivono articoli di cronaca nei quotidiani...
Il problema è che se tale categoria vuole sopravvivere, è LETTERALMENTE costretta a prestare servizio allo Stato aiutandolo nell'ornamento di tutte le stronzate che ne tappezzano le pareti.
Stesso discorso vale per gli artisti che di mestiere fanno i restauratori, cioè gli operai.

Certamente per quanto riguarda gli “intellettuali” è però una situazione ancora peggiore, e altamente preoccupante, in quanto si è costretti a credere di credere a una serie smodata di storie (per altro banali) che non hanno ragione d'essere, e che contribuiscono ad abbassare la qualità della vita.

Una follia, insomma.

L'intellettuale si preoccupi delle faccende concernenti la carta, che coloro che credono al mondo vero bastano a segnare la fila dei commentatori/marionette, da sempre fonte di ispirazione per tante nuove storie bellissime da narrare.

Luca Atzori

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