Ogni condizione che non ammetta punti di appoggio, e che perciò escluda luogo, è quella definita come estatica, mistica, o anche infernale.
Il punto di appoggio qui inteso, si compone delle certezze, le memorie, i dogmi, i dati di pensiero che rendono possibile una collocazione all'interno dell'individualità (superficie bidimensionale). Un'azione riflessa che a partire da un dato di realtà, dona una casa al pensiero, colloca la coscienza all'interno di un determinato spazio e rende possibile una conseguente ermeneutica. In poche parole, l'esperienza della cultura, una eco che conclama la verità archiviata nelle tracce del linguaggio, l'arte e quant'altro. È un'esigenza necessaria e inevitabile, considerato che senza appoggio di alcuna sorta non potrebbe che restare un'eterna angoscia, solo desiderante, priva d'impatto, propriamente in quanto presa di coscienza di quella condizione degenerata che è la coscienza stessa (un punto d'arrivo ma senza un Padre. Abbiamo bisogno di un Padre).
L'uomo ha visto troppo, e perciò necessita di porre tregua al suo abbaglio con continue ammortizzazioni che lo rendano soggetto. È la morte la prima grande fine. Gli oggetti sono la conseguenza. Innumerevoli fini, costellazioni di enti, per loro natura menzogneri e distanti.
Per vivere abbiamo bisogno di viaggiare sempre a rasoterra, senza toccare il fondo, perché (chiosando Heidegger) è lì che la verità accade: nell'oblio.
Il logos di cui già parlava Eraclito, nucleo psicotico agli occhi di ogni possibile dissacratore curioso (nemico e amante dell'angoscia) è un serpente elettrico che incessantemente distrugge quel grande granito che è il nulla. E così si genera il tempo, accadono gli opposti e il nulla è il grande schermo.
Ma tutto ciò non può essere raccontato. Le orecchie accolgono gli avanzi, e danno agli altri gli avanzi degli avanzi. E tutto ciò che avanza è il passato.
Ecco che anche quello che ci accingiamo a spiegare, diventa una falsificazione, ci allontana dall'accadere di questa verità. Ogni cosa che le labbra dicano, per voce Sua, sono giuste. È la verità del delirio. Il logos parla attraverso il delirio, gli è sufficiente il dire. Ma ciò che sta dietro è incomunicabile, misterioso e indicibile. Esso è completo, non cerca frammenti. È intero nei frammenti (citando Lao Tze).
Amare la verità. Il pazzo è un grande filosofo, se s'innamora. Se sceglie di amare.
Se dovessimo mostrarne qualcosa, ci arrenderemmo al kitsch, quello che nella concezione che ne traeva Hermann Broch si genera nell'esigenza ansiosa del bello, di oggetto chiuso e perfetto che resti come avanzo, qualora l'Essere viva nel totale oblio, nel trionfo totale del senso (e luogo) comune, in riverbero d'eco, paradossalmente manifesto nella sua falsità.
Raccontare qualcosa agli altri è un'inezia, ma necessaria alle volte. Forse è necessario che qualcosa poco alla volta si sappia. Sarà falso, sempre, ma l'unica cosa che ci chieda questo Nessuno (dal fondo del suo silenzio, sempre detto ma mai ascoltato) è di liberarsi.
Un compito. E la fede è sempre cieca.
Luca Atzori
mercoledì 15 febbraio 2012
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