“Un azzurro momento è puramente anima” Georg Trakl – Infanzia
Ogni infanzia è infelice.
Ogni infanzia umana che si “ricordi” è il periodo più infelice nella vita di ciascuno.
Proprio quando la vita inizia, i desideri sono puri e incorrotti, e non c'è punto d'appoggio, né vi è necessità.
Volontà di potenza.
Piuttosto l'abbraccio protettivo della madre, di quello si può parlare, del calore, che già di per sé è souvenir di quell' origine dell'amore che si andrà a ricercare per il resto della vita.
Nel Vangelo si legge che solo un bambino può entrare nel regno dei cieli. Questo perché la volontà infantile è interamente divina. La sostanza del bambino è più affine a quella divina, che Spinoza insegna essere in sé e concepita per sé.
Il bambino ha la saggezza della sua innocenza, l'unica che si debba ricercare.
La coscienza serve a dimenticare, perciò a ricordare.
Nell'infanzia, dove le emozioni sono più intense, proprio perché non è possibile chiudere gli occhi davanti a nessuna di esse, c'è la più pura sofferenza, ed è quella che la felice calma della vita adulta ci getta addosso, quel mangime amaro che porta il nome Civiltà.
Uno sbarramento fra le due potenze coercitive della famiglia e l'esistenza civile.
Il bambino è l'essere umano che più patisce il destino sociale, proprio perché questo incombe su di lui, cercando di racchiuderlo in sé, vestendolo della propria malattia, gettandolo nella putrefazione localizzata.
Ma l'infanzia non può essere abolita, poiché il tempo abbraccia tutto, e sulla nostra pelle riposano tutti gli attimi, legati geometricamente fra un quando e l'altro.
La pace che andiamo a ricercare è un ricordo prenatale.
Mentre l'educazione comporta un acquietamento necessario alla conduzione dell'esistenza civile, che concentra l'attenzione sulla sfera razionale.
E' quando noi soffriamo, il dolore che vediamo riemergere è quello dell'infante.
L'infante piange.
Nessuno ricorda l'infanzia proprio perché è un periodo che la memoria non consente di conservare, per stessa natura e finalità del rammentare stesso.
Nessuno se lo ricorda perché è stato un periodo troppo infelice. Quello in cui abbiamo preteso con maggior forza la nostra felicità stessa.
Il periodo in cui eravamo (già) pronti ad apprendere la gioia dinnanzi alla morte.
Appello agli psicoanalisti: non si deve rammentare l' infanzia, ma piuttosto tornare bambini e fare i conti con la nostra fatale infelicità.
Luca Atzori
lunedì 27 dicembre 2010
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