lunedì 26 aprile 2010

RIBELLE VS RIVOLUZIONARIO

Ogni rivoluzionario (o chiunque sventuratamente ambisca a definirsi o diventare tale), affida se stesso alla collettività, operando perciò una vera e propria rinuncia.
Il concetto di rivoluzione presenta in sé, difatti, molteplici affinità con la religione cristiana cattolica, la quale invita i suoi fedeli a dedicare se stessi agli altri, nella speranza di costruire insieme un mondo migliore dove non esistano più guerre, odio etc. (luogo che, bisogna evidenziare, risiede non a caso in un non luogo).
Così ogni rivoluzione (politica, culturale, religiosa etc) è mossa da un solo potente propulsore: l'illusione.
Chiunque pretenda di operare una grande azione rivoluzionaria, desidera in effetti la felicità non propria, ma piuttosto dei suoi “compagni” e insieme anche quella dei posteri (causando spesso nei secondi solo ulteriori disagi).

Il rivoluzionario è sempre uno schiavo.
La sua schiavitù si manifesta nel gregge formato da persone che si ritrovano ad essere oppresse da una strana forma di potere che obbliga le loro preziose giornate a colorarsi di una fatica grigia e indesiderata, ma che essi in realtà non vogliono fare cessare del tutto, ma solo portare ad un miglioramento, e dunque rendere più accettabile.
Il rivoluzionario pretende un semplice miglioramento della propria condizione da un peggio a un altro peggio, e mai si sognerebbe di pretendere più schiettamente la propria sacrosanta libertà.

Alla figura del rivoluzionario ne contrappongo qui una che mi sembra decisamente più attraente, ed è quella del ribelle.
Quando si dice “ribelle”, ci si richiama a una figura che non conosce ragione per cui debba esistere anche solo possibilità di servire, lavorare, chinarsi al volere del padrone, e tantomeno quella di trasportare la propria misera condizione ad una merda più profumata.
Il ribelle desidera principalmente che i propri bisogni (a partire da quelli naturali) vengano soddisfatti, senza vergognarsi di quale sia il loro aspetto.
Quando si parla di ribellione, si intende la consapevolezza che si ha della propria potenzialità intellettuale, fisica ed emotiva, e che si desidera vedere realizzata, e non di certo soppressa.
Se il ribelle dovesse mai trovarsi davanti a un' impasse, e fosse costretto a organizzare una rivoluzione, considererebbe come unici gesti lucidi quelli di gettarsi dal balcone, o sparare a vuoto e a caso, perché in caso contrario sarebbe certamente perseguitato e non di certo amato dalle masse.

La massa deve certamente andare a farsi fottere.

E' naturale che la massa esista, ma è innaturale che essa abbia il potere.
È sempre stato con l'aiuto della massa che le rivoluzioni si sono presentate nell'arco della storia. La storia è di per sé mossa prevalentemente da eventi rivoluzionari. Ma tutte le rivoluzioni hanno portato solo a delle condizioni di ulteriore (e spesso peggiore) sgomento.
Ogni rivoluzione richiede a sua volta un'ulteriore rivoluzione.
La storia stessa non è nient'altro che una fiaba ridicola, raccontata per fare addormentare migliaia di credenti (istruiti), prima che questi si posino sulla culla del loro “posto di lavoro”, ancora creduli sulla veridicità di queste minacce secolari che portano il nome di guerra, denaro etc.

Nel codice della ribellione, non esiste la possibilità di una resa. La morte è un incidente che si evita con la lotta personale, al fine di salvare la propria pelle (e non certo quella della folla).

Se gli idioti vivono peggio, perché dotati di una sensibilità assonnata, ciò non significa che ci si debba far narcotizzare come se ne fosse ovvia conseguenza.

Karl Marx, da buon rivoluzionario, si rivolgeva ai lavoratori, invitandoli a spezzare quelle catene che i malvagi capitalisti assegnavano loro. Ma il ribelle, quelle catene, nemmeno se le sarebbe mai messe. Il rivoluzionario è uno schiavo che vuole godere di una condizione migliore, o tradotto, che desidera trasferirsi in una prigione più confortevole.
Il ribelle non ambisce al comfort, ma più semplicemente alla salvaguardia della propria libertà.
Il ribelle è dotato di quella saggezza che possiedono molto spesso solo i bambini appena nati, e non riesce nemmeno a immaginare di poter vivere in una qualsivoglia prigione. “Perché mai dovrei?” si domanda legittimamente.
Parlo di una prigione che ha sede nel lavoro, nella scuola, nel locale di divertimenti, a casa della fidanzata, in famiglia, negli hobby e in tante altre perversioni di ogni sorta.
Questa è la differenza che pone un abisso fra i due infelici: che il primo ha a cuore l'infame vita altrui, ormai immemore della propria, illuso della propria grandezza, mentre il secondo si interessa a difendere principalmente se stesso, senza ulteriori scorie inutili, o futuri che non si vedranno mai, ne tanto meno la buffa speranza che gli venga assegnata un giorno una ridicola statua di pietra.
Il ribelle vive nel presente, il rivoluzionario, invece, vivendo nel futuro, non vive... non vivrà mai!

Egli può dunque essere considerato nell'unica maniera che gli spetta, ovvero: Schiavo!

Luca Atzori

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